La scomparsa di Gugliemo Epifani, il sindacalista colto dal cuore socialista
Guglielmo Epifani ha lasciato la sua esistenza terrena a 71 anni. Segretario generale della CGIL dal 2002 al 2010 e dall’11 maggio 2013 al 15 dicembre 2013 segretario del Partito Democratico, fu anche deputato della XVII Legislatura. Nel 2017 fu uno degli aderenti ad Articolo Uno. Il suo bel libro “Cent’anni dopo, il sindacato dopo il sindacato” scritto con Vittorio Foa è la summa del suo pensiero, lo consiglio perché comprendere l’ampiezza della figura di Epifani è difficile, sia perché per carattere era difficile da penetrare, grande uomo di trattativa ma molto riservato e dal pensiero alto.
Il suo libro svela invece come la pensava sul sindacato e sul ruolo che il sindacato doveva avere e dovrebbe avere nel futuro. Epifani ha fatto tutta la carriera del sindacato, dalle prime timide apparizioni subito dopo la laurea nelle file della ESI, la casa editrice della CGIL, alla segreteria generale aggiunto della categoria dei lavoratori poligrafici e cartai. La sua vita e la sua esperienza percorre il meglio della storia sindacale del nostro paese, dalle prime forme di associazione operaia ai primi scioperi di massa, dalla resistenza antifascista alla costruzione della Repubblica, dall’introduzione delle tutele elementari del lavoro alla difesa dei nuovi diritti. Dal 1994 al 2002 fu vicesegretario della CGIL e a seguito della conclusione del mandato di Sergio Cofferati assunse l’incarico di segretario generale, primo socialista a guidare la confederazione dai tempi della sua ricostituzione nel 1944. Nel 2010 terminò la carriera sindacale cedendo il passo e la carica alla prima donna segretaria Susanna Camusso. Una vita piena, anche da deputato, con l’allontanamento critico dal PD e la scelta di aderire ad Articolo 1 Movimento Democratico e Progressista.
Il sindacato, lo aveva capito Epifani, non riuscendo più a giocare un ruolo attivo nelle dinamiche economiche e sociali del nostro tempo, necessitava (e ahimè necessita ancora) di cambiare ruolo. La sua scelta di continuare a fare politica era in progressione della sua visione di impegno che anche il sindacato moderna, affermava, doveva avere. Scuola e istruzione, l’assistenza sanitaria, la difesa dell’ambiente e del diritto per tutti alla casa e al lavoro, secondo Epifani erano il nuovo tavolo su cui giocare le carte della partecipazione e del consenso capillare, alla incapacità di mettere in cantiere riflessioni efficaci sul quadro economico, Epifani riteneva che il sindacato “moderno” dovesse contrapporre non solo la rappresentanza ma la proposta.
Fortemente contrario al modello di rappresentanza diretta individuale del lavoratore nei confronti del datore di lavoro respingeva nei sui ragionamenti pubblici ogni tentativo di disintermediazione sociale del sindacato. Un viaggio, umano e politico di Epifani nella storia del sindacato che è stato anche il viaggio nella storia del nostro paese.
Ci lascia l’acutezza del suo ragionare sulla ricerca di identità sociali nuove e la necessità di accompagnare le sfide dell’economia e dell’impresa con nuovi strumenti per difendere la dignità del lavoro e dei nuovi lavoratori.