Dicembre 24

La sfida del manager del futuro è l’etica e la dignità delle persone

pexels-sora-shimazaki-5668857 manager

La convinzione che il lavoro, il profitto e la diligenza abbiano un beneficio morale e un’abilità, una virtù o un valore intrinseci per rafforzare il carattere e le capacità individuali è alla base dell’etica applicata al lavoro. Ma si può essere manager ed avere l’etica come timone per tenere la propria rotta nel lavoro? Ebbene non c’è un valore più alto nella propria attività che l’etica, da cui deriva uno stile di approccio alle situazioni quotidiane che esaltano l’individuo, la meritocrazia, il profitto sano. Ma cosa è l’etica nel lavoro? Mi ha particolarmente colpito la lettera che un lavoratore ha scritto alla rubrica della posta al direttore de La Stampa rivolgendosi al Papa chiedendogli: “Val la pena di produrre belle e sagge opere se per farlo abbiamo bisogno del lavoro degli schiavi?” domanda che in tanti si fanno quando comprano un chilo di pomodori o che è lecito porsi quando si ha responsabilità ad esempio di un ufficio acquisti e si valuta una gara al ribasso per una fornitura. La replica di Papa Francesco non si è fatta attendere: “Sono rimasto colpito dalle sue parole. Lei – dice Papa Francesco – non pone una domanda oziosa, perché in gioco c’è la dignità delle persone, quella dignità che oggi viene troppo spesso e facilmente calpestata con il «lavoro schiavo», nel silenzio complice e assordante di molti. Lo avevamo visto durante il lockdown, quando tanti di noi hanno scoperto che dietro il cibo che continuava ad arrivare sulle nostre tavole c’erano centinaia di migliaia di braccianti privi di diritti: invisibili e ultimi – benché primi! – gradini di una filiera che per procurare cibo privava molti del pane di un lavoro degno”.

I valori e l’etica sono argomenti sempre più presenti nella vita delle organizzazioni pubbliche e private e gestire organizzazioni complesse senza avere un personale complesso di valori e principi etici da tenere in considerazione durante lo svolgimento del proprio lavoro rendere l’attività professionale meno forte. E’ ormai indispensabile avere chiari un complesso di valori e di principi etici che è importante tenere sempre presenti nello svolgimento del proprio lavoro, questo fa apprezzare il manager sia verso l’alto, dando certezza che la missione aziendale (che solitamente è piena di valori sostenibili) sia vera, sia verso il basso perché un capo giusto, leale, mentore e collaborativo rende il team più forte. Usare l’etica aiuta a scegliere i migliori collaboratori da valorizzare, ad esempio, nel corso di un colloquio di lavoro o nella stesura di ruoli interni. Ma come fare a portare con se il bagaglio dei “valori” usandoli come attrezzi per la vista quotidiana in azienda? Secondo le dottrine più accreditate ogni persona ritiene importante rispettare, anche indipendentemente da quello che dicono o pensano gli altri o da come vanno le cose, alcuni propri valori fondando la convinzione che fare leva su questi valori serva fare sentire la singola persona in pace con se stessa ed a sostenere la propria identità personale e la propria autostima.

In realtà l’onestà, la chiarezza, la correttezza nelle relazioni, l’affidabilità, il coraggio, la generosità, la fiducia, l’accuratezza, la determinazione, la fedeltà, la riservatezza sono indispensabili nelle aziende ed un manager deve necessariamente esercitare la virtù dell’uso di questi valori in azienda. Quello che deve essere sviluppato da un “buon manager” è un mix di ciò che si è bravi a fare, di ciò che risveglia e mantiene gli interessi personali ed è allo stesso tempo ritenuto importante in base ai propri principi etici. Il tutto, si badi bene, senza allentare la presa sul business dell’azienda e le esigenze personali e sociali del lavoratore. La linea guida è il benessere comune, il fine ultimo quello di valorizzare l’esistenza umana. Ciò vuol dire rispettare il principio della vita, “lavorare per vivere” e “non vivere per lavorare”. Dobbiamo, scriveva Keynes, “tornare a porre i fini avanti ai mezzi, ad anteporre il buono all’utile”.
È utopia? Forse.
La visione dell’uomo che le parole di Keynes e del Papa sottintendono è attualissima. L’uomo non è una macchina, non è un robot che esaurisce la sua ragion d’essere nella produzione di beni e servizi. L’uomo non è un mezzo ma un fine e, in quanto tale, precede il mezzo. Una macchina logora o obsoleta si sostituisce. La convergenza dell’economia e della fede fa si che si consideri ogni uomo e ogni donna come creature uniche e irripetibili e che non esauriscono nelle loro capacità produttive la loro vita; l’uomo e la donna precedono, sempre e comunque, la produzione, il profitto, l’utile.