Post su Facebook contro l’azienda: licenziamento negato
Il Tribunale di Taranto con la sentenza del 26 luglio 2021, si è pronunciata sul caso di un lavoratore dell’ex Ilva licenziato per giusta causa per aver scritto sulla propria bacheca Facebook un commento su una fiction in cui accusava gli autori di non aver avuto il coraggio di fare il nome dell’azienda, concludendo con la parola «assassini». Una frase che il giudice ha definito dura e offensiva ma troppo generica e non attualizzata, trattandosi di una fiction, per legittimare il licenziamento. Così il lavoratore è stato reintegrato.
Resta alta l’attenzione degli uffici del personale delle aziende sui commenti che i propri dipendenti postano sui social network per determinare la lesione del rapporto di fiducia con il datore di lavoro (causa di licenziamento legittimo, lo ricordiamo).
Sul tema segnaliamo anche la sentenza del Tribunale di Ancona numero 175 pubblicata il 5 luglio 2021, che è intervenuto su un caso di recensioni pubblicate dai dipendenti su Google My Business di una azienda marchigiana. Nel caso specifico, il lavoratore aveva assegnato una sola stella su cinque all’azienda per la quale lavorava, lasciando come commento la frase «Lasciate ogni speranza…» che è stata riconosciuta dal giudice come denigratoria. Per il giudice che ha emesso sentenza accostare l’azienda per la quale si lavora alla porta degli inferi risulta fortemente denigratoria, le frasi ironiche o allusive possono essere offensive e ledere il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Il licenziamento però è stato considerato illegittimo, perché sproporzionato rispetto alla condotta, mentre sarebbe risultata equa una sanzione disciplinare conservativa.
Siamo quindi in presenza di Tribunali che non sanzionano il dipendente con la conferma del licenziamento ma emettono sentenze in cui giudicano il comportamento del lavoratore, indicando comportamenti da non seguire, che però diventano se scritti in sentenza forme di censura legale.