Licenziamento: lo scarso rendimento è causa legittima
Ci sono cause di licenziamento che dipendono da situazioni di crisi o di scelta altre che sono in conseguenza di una azione o di una non azione del dipendente. Al netto delle ipotesi in cui il licenziamento è conseguenza di una dell’impresa, come un riassetto aziendale, la cessazione delle mansioni ma esistono casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro deriva da un comportamento gravemente colpevole o doloso del dipendente. Giova ricordare che i Quadri sono dipendenti come altri ma su loro grava un obbligo maggiore di tipo professionale proprio per il ruolo che sono chiamati ad avere in azienda.
Il cosiddetto «licenziamento disciplinare» scatta tutte le volte in cui il lavoratore viola non solo il contratto collettivo nazionale o quello individuale di lavoro ma anche la legge in generale. E, a quest’ultimo proposito, proprio per i Quadri non sono rari i casi in cui il licenziamento è stato determinato, ad esempio, da un procedimento penale a carico di un dipendente per fatti non attinenti alle mansioni ma tali comunque da danneggiare l’azienda anche solo potenzialmente (come il danno da immagine lesa).
Nell’ambito della casistica analizzata dalla giurisprudenza trova spazio un comportamento che fa scattare il licenziamento: lo scarso rendimento. Vediamo di capire di cosa si tratta. Introdotto di recente dalla giurisprudenza, il licenziamento per scarso rendimento si configura tutte le volte in cui un Quadro viene ritenuto colpevole di un andamento delle proprie attività molto al di sotto dello standar di colleghi addetti alle stesse mansioni. Vi deve essere una forte sproporzione, la giurisprudenza ha chiarito che i tempi di lavoro per far scattare il licenziamento devono dilatarsi di oltre il 50% rispetto a quelli in media necessari per concludere le medesime attività. Così, ad esempio, quando per svolgere un determinato compito che richiederebbe un’ora se ne impiegano più di due e la situazione va avanti per molto tempo, è possibile la risoluzione del rapporto di lavoro.
La giurisprudenza, in più di una sentenza e per maggiore tutela del dipendente Quadro, impone al datore di diffidare prima l’interessato attraverso una lettera scritta in modo da dargli la possibilità di ravvedersi per tempo. E’ il caso della sentenza della Cassazione civile sez. lav., 07/12/2018, n.31763 che ha chiarito che le regole dettate dall’art. 2110 c.c. per le ipotesi di assenze da malattia del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sulla disciplina dei licenziamenti individuali e si sostanziano nell’impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cd. comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, nonché nel considerare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso, nell’ottica di un contemperamento tra gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi, senza perdere i mezzi di sostentamento); ne deriva che lo scarso rendimento e l’eventuale disservizio aziendale determinato dalle assenze per malattia del lavoratore non possono legittimare, prima del superamento del periodo massimo di comporto, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Ancora la Cassazione civile sez. lav., 10/11/2017, n.26676 in estrema sintesi indica il licenziamento per scarso rendimento come legittimo se il datore di lavoro fornisce la prova del comportamento negligente del lavoratore e se l’inadeguatezza della prestazione non dipende dall’organizzazione del lavoro da parte dell’imprenditore e da fattori socio ambientali. In ultima la sentenza del Tribunale Pisa sez. lav., 05/06/2017 che ha dedotto dal dibattimento e sentenziato la legittimità del licenziamento di un lavoratore per scarso rendimento perché l’impresa era riuscita a provare, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso nel tempo analizzato ed in base agli elementi di prova, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – e solo a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione.
L’onere della prova è sempre a carico del datore di lavoro, dovendo il lavoratore provare il contrario ma solo in seguito alla presentazione della prove e testimonianze su iniziativa del datore di lavoro, lo ha chiarito il Tribunale Milano sez. lav., 19/09/2015 pronunciandosi proprio su un licenziamento per scarso rendimento. Il tribunale ha chiarito che spetta al datore di lavoro dimostrare la non utilizzabilità della prestazione ricollegando nei giorni di presenza del lavoratore (ossia quando viene effettuata la prestazione lavorativa), non ricorrendo altrimenti gli estremi del giustificato motivo oggettivo.
Il tema risulta complicato dal lockdown e dai periodi di smart working dove diventa più complesso mantenere il filo di queste sentenze che potrebbero anche essere ribaltate con riguardo agli accordi che riorganizzeranno il lavoro da remoto.