Novembre 24

Competitività: nuovi parametri per misurarla

La complessità del processo di mercato non può essere affrontata con le famigerate curve della domanda e dell’offerta, governate in astratto da un prezzo mai definito nella sua essenza, ma tramite analisi concrete.

Prendendola alla lontana, potremmo dire che esiste un vizio di fondo nella comprensione dei meccanismi concorrenziali della distribuzione moderna dei prodotti di largo consumo. Questo limite evidente va ascritto agli insegnamenti di politica economica che sono parte della formazione universitaria di imprenditori e manager della nostra business community. Lo schema concettuale che ispira i ragionamenti più comuni si basa su una rappresentazione semplificata di questo particolare sistema economico, in cui dovrebbero esistere semplicemente i produttori e “il” consumatore, senza l’esistenza di una intermediazione che governi le logiche dello scambio merce- moneta. In campo economico, gli approfondimenti teorici sono sempre legati a nuove criticità della profittabilità del gioco giocato.

Ma, diciamolo francamente, la distribuzione grocery, negli scorsi decenni e nel suo insieme, non è stata afflitta da veri e grandi problemi strutturali. I vantaggi offerti dalla modernità distributiva e dalla sostituzione del commercio tradizionale desueto hanno dato spazio a tutti, a chi più a chi meno. Fu solo con il clamoroso e colossale fallimento di Auchan e la crisi degli ipermercati che si cominciò ad avvertire che qualcosa si stava rompendo, e che la “disruptive erosion” dei discount non era un segnale fugace. Insomma, emerse un malessere che le analisi del nostro Cx Store hanno documentato sin dal 2019. Quindi, riprendendo il filo, non stupisce che le insegne della distribuzione interpretino il meccanismo della concorrenza facendo riferimento essenzialmente ai prezzi e ai prezzi scontati. Culturalmente e inconsciamente il management è schiavo della menzionata semplificazione dell’economia neoclassica, che tratta tutto con le famigerate curve della domanda e dell’offerta, governate in astratto da un prezzo mai definito nella sua essenza; tant’è che ancora trovano ascolto certe goffe, ridicole ricerche che ipotizzano una “reductio ad unum”, cioè a un “prezzo aggregato”, una quantificazione della “convenienza di prezzo” dell’una o dell’altra insegna.

Ma, diciamolo francamente, la distribuzione grocery, negli scorsi decenni e nel suo insieme, non è stata afflitta da veri e grandi problemi strutturali. I vantaggi offerti dalla modernità distributiva e dalla sostituzione del commercio tradizionale desueto hanno dato spazio a tutti, a chi più a chi meno. Fu solo La realtà è ben diversa. I produttori, le industrie non offrono nulla ai consumatori. Sono le insegne dei supermercati a gestire l’offerta assemblando tante merci in assortimenti eterogenei e inconfrontabili. Ma i retailer non governano un prezzo che fa incontrare domanda e offerta. Il quadro è complesso e possiamo schematizzarlo così: primo, un supermercato è legato a un luogo fisico, per cui la concorrenza che subisce dipende da chi si trova o s’insedierà in quel luogo; secondo, la domanda che può raccogliere non tende all’infinito in base al prezzo com’è descritto dalle curve dei nostri manuali, perché la popolazione che vi gravita attorno è quasi fissa; terzo, la domanda espressa dalla popolazione non è né omogenea in termini di prodotti, marche e formati, né costante (e dunque neppure aggregabile); quarto, l’offerta è indipendente dai prezzi (fissi per definizione) e, dal punto di vista di un supermercato, può tendere all’infinito; quinto, la domanda “aggregata” in termini monetari è determinata da un insieme probabilistico composto da un numero incommensurabile di decisioni dettate da motivazioni diverse, di cui quelle legate razionalmente ed esclusivamente al prezzo delle merci sono poche tra le tante.

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