Dicembre 24

Reinserimento sociale dei detenuti: le linee guida dell’UNODC

Prigione_Sbarre

Facilitare il reinserimento sociale dei detenuti è un compito complesso, il cui risultato è spesso difficile da misurare. Un indicatore importante di successo rimane, comunque, la ridotta recidiva criminale.

Ma cosa può portare a una recidiva? Nel tentativo di rispondere a questo interrogativo, L’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (United Nations Office on Drugs and Crime, UNODC) pubblicava nel 2018 un Introductory Handbook on The Prevention of Recidivism and the Social Reintegration of Offenders, letteralmente un manuale introduttivo sui temi del reinserimento sociale e della prevenzione della recidiva degli autori di reato. Un testo che, davanti al discorso di insediamento del neo presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è impossibile non richiamare alla memoria:

“Dignità è un Paese dove le carceri non siano sovraffollate e assicurino il reinserimento sociale dei detenuti. Questa è anche la migliore garanzia di sicurezza”, queste le parole del presidente.

Una riflessione che merita un approfondimento, a partire dalla condizione dei detenuti.

Al di là del sovraffollamento, grave e complesso problema del settore penitenziario, le persone trattenute in uno stabilimento di pena si trovano spesso ad affrontare una lunga serie sfide specifiche: situazioni sociali, economiche e personali che tendono a diventare ostacoli alla loro integrazione sociale. 

Alcune di queste sfide sono il risultato dell’ambiente sociale, della famiglia o del basso livello di istruzione dell’autore del reato: i trasgressori possono avere una storia di isolamento sociale ed emarginazione, abusi fisici o emotivi, disoccupazione, o essere cresciuti in un contesto criminale. Possono anche essere affetti da disabilità fisiche e mentali, avere problemi di salute o abusare di sostanze. Fattori di rischio che i programmi di reinserimento tengono in considerazione.

Ma altre sfide proprie dei detenuti sono conseguenza diretta dell’incarcerazione e dell’atteggiamento della comunità nei confronti degli ex criminali.

Gli “effetti collaterali” della detenzione spaziano da problematiche finanziarie, come la perdita di una fonte di sostentamento e della capacità di mantenere un alloggio per sé e per la propria famiglia, alla salute. Si pensi a chi ha contratto una grave malattia durante la custodia, o ha sperimentato difficoltà di salute mentale o sviluppato atteggiamenti autolesionistici. Senza dimenticare i danni collegati alla socialità, come la perdita di importanti relazioni personali.

In assenza di programmi efficaci per aiutare i detenuti ad affrontare queste molteplici sfide, le probabilità di un loro reinserimento sociale di successo sono molto scarse.

Ma in cosa consistono, esattamente, le varie tipologie di programmi di reinserimento? L’UNDOC distingue tra: terapia cognitivo-comportamentale, terapia di prevenzione delle ricadute, allenamento alla vita di relazione, terapia motivazionale, programmi per la cura degli animali e opportunità per diventare cittadini attivi

I percorsi terapeutici sono funzionali a correggere eventuali schemi di pensiero distorti, al recupero dalle dipendenze, e a dare sostegno nel processo di cambiamento. La cura degli animali insegna il rispetto e l’apprezzamento per altre forme di vita. I programmi per lo sviluppo di abilità di base nella vita e nelle relazioni preparano i detenuti alla vita di comunità: la reclusione sottrae alle persone il controllo sugli aspetti quotidiani della propria vita; dopo il rilascio, il sistema chiuso che scandiva il loro quotidiano crolla, forzandole a riorganizzare massivamente le proprie vite. Un accompagnamento, rende il cambiamento meno traumatico. Infine, alcuni programmi carcerari offrono opportunità di lavoro o volontariato ai detenuti. In questo contesto i detenuti diventano cittadini attivi: apportano contributi positivi alla comunità nel suo insieme.

Si ritiene che trovare un’occupazione sia uno dei fattori chiave che riducono la probabilità di recidive. Il lavoro è fondamentale per assicurarsi un alloggio, ottenere stabilità finanziaria, sostenere i familiari, acquisire fiducia in sé stessi, fare amicizia e, in ultimo, desistere dal crimine. A questo proposito, l’impatto della formazione professionale e dei programmi di lavoro nelle carceri è enorme: le capacità acquisite nel periodo di detenzione  diventano determinanti per le prospettive occupazionali dei detenuti. 

E se la ricerca sulle variabili che influenzano il successo del reinserimento ha rivelato l’interdipendenza tra lavoro, alloggio e supporto della rete sociale, in assenza di supporto materiale, psicologico e sociale nelle fasi immediatamente successive alla scarcerazione, molti autori di reato rischiano di essere coinvolti in un circolo vizioso di rilascio e ri-arresto.

Per tutte queste ragioni, anche se non esiste la ricetta perfetta della prevenzione della recidiva, sembra che le strategie di reinserimento sociale di maggior successo siano quelle che:

  • coinvolgono la comunità nell’intervento
  • differenziano tra le specifiche problematiche di reinserimento sociale 
  • iniziano quando l’autore del reato è in custodia e continuano fino al suo completo reinserimento nella comunità
  • trovano un equilibrio tra sorveglianza e assistenza 
  • sono sensibili al genere e all’età.