Credito all’impresa: la sfida dei CFO
Dopo un 2020 in cui le imprese italiane – specialmente quelle piccole – hanno chiesto finanziamenti principalmente per affrontare l’emergenza, pagare i dipendenti e i fornitori, nel corso del 2021 le aziende hanno cominciato a pensare al futuro e a richiedere finanziamenti con importi maggiori per tornare a investire sulla crescita della propria attività. Investimenti che potrebbero rendere le imprese più forti e più preparate ad affrontare le turbolenze economiche determinate dalla guerra in Ucraina. Questa è la fotografia che emerge nel quarto Osservatorio Piccole Imprese Italiane lanciato da Credimi, leader nell’Unione Europea nei finanziamenti digitali a PMI, e realizzato da Nextplora, agenzia di Insight Management, su un campione di 1.000 aziende con fatturato fino a 20 milioni di euro, suddivise in parti uguali tra i settori di industria, commercio, edilizia e servizi e analizzate per forma giuridica (ditte individuali, società di persone, società di capitali)[1]. Si tratta per l’80% di imprese con meno di 50 dipendenti, nate dopo il 1980 (70%) e nel 27% dei casi a conduzione femminile. Il 48% delle PMI ha sede nel Nord Italia, il 33% al Sud e nelle isole, e il 18% nel Centro Italia.
Ciò che emerge con forza dalla quarta edizione dell’Osservatorio è che, rispetto all’anno 2020, che ha messo in grande difficoltà la maggior parte delle aziende medio-piccole, il 2021 è stato invece un anno di assestamento in cui le PMI hanno cercato di rimettersi in piedi e tornare solide.
Lo dimostrano i numeri: l’anno scorso sono aumentati gli importi ipotizzati per il prossimo finanziamento: se nel 2020 solo il 7% delle imprese richiedeva cifre sopra ai 100.000 euro, nel 2021 ben il 39% delle imprese ha dichiarato che la prossima richiesta supererà quella soglia.
Anche le motivazioni per richiedere un prestito cambiano radicalmente dal 2020 al 2021: diminuiscono quelle «emergenziali» e aumentano quelle «di prospettiva». Nel 2020 infatti il 42% delle imprese ha utilizzato i prestiti per coprire esigenze di liquidità e il 34% per pagare i fornitori. Invece nel 2021 alla domanda sulla destinazione del prossimo finanziamento, solo il 30% delle imprese ha dichiarato che lo userà per la liquidità e il 28% per pagare i fornitori. Tra le altre motivazioni che spingono le PMI a richiedere un finanziamento ci sono, appunto, quelle legate alla crescita, come: il rinnovo del magazzino (29%) l’implementazione dell’e-commerce (27%), nuove assunzioni (24%) e l’acquisto di macchinari e software (23%).
Cambia anche ciò che gli imprenditori cercano in un finanziamento: resta invariata al primo posto l’importanza del tasso d’interesse (per il 64% delle imprese), al secondo posto, ma meno rilevante rispetto al 2020 la «velocità di erogazione» (dal 47% al 40%) e «l’ammontare dell’importo» (dal 42% al 35%), mentre aumentano l’importanza della «durata» del prestito (dal 33% al 38%) e della presenza di un consulente personale (dal 20% al 25%).
Nel 2021 le imprese hanno fatto ricorso a varie forme di finanziamento: dal fido alle carte di credito – preferite principalmente dalle aziende più piccole – ai capitali propri – soluzione scelta da quelle più grandi. Infatti, per quanto riguarda le ditte individuali, il 45% di esse ha fatto ricorso allo strumento del fido e ben il 50% alle carte di credito. Le aziende più grandi invece, quelle con fatturato tra i 5 e i 20 milioni di euro, hanno in buona parte preferito utilizzare capitali propri: ha fatto questa scelta il 37% di queste imprese.
Ci sono state anche delle PMI che non hanno avuto bisogno di alcun tipo di finanziamento nel corso dell’anno: ovvero le società di capitali (56%), quelle con fatturato sopra al milione (46%), ed anche alcune di quelle con fatturato più basso (nella fattispecie, il 29% di quelle nella fascia 50.000 euro – 1 milione di euro).
I settori che hanno fatto maggior ricorso ai finanziamenti sono stati quello dell’industria – il 13% delle imprese di questo settore ha richiesto un prestito (ma nel 2020 era il 31%) – seguito dal commercio (9% vs ben 35% l’anno prima), servizi (8% vs 28%) ed edilizia (4% vs 30%). È interessante anche segnalare che nel 2021 ben il 58% delle imprese intervistate nel mondo dell’edilizia non ha mai richiesto un finanziamento.
Dall’analisi emergono delle importanti differenze tra le imprese a conduzione femminile e le altre, sia a livello totale che nello specifico delle ditte individuali. Le imprese femminili si sono rivolte maggiormente al fido (51%) e alle carte di credito (57%) come forme di finanziamento rispetto alle imprese non femminili (rispettivamente 38% e 43%). Invece la quota di quelle che non hanno avuto bisogno di un prestito è del 26% per le ditte individuali non femminili, mentre scende al 10% per le femminili. Le tipologie di finanziamento predilette da queste PMI sono il mutuo (utilizzato dal 60% delle imprese femminili nell’ultimo anno) e finanziamento a lungo termine (52%). Queste aziende sembrano più orientate ad un’ottica di investimento: hanno usato il credito per creare o migliorare l’e-commerce (31% contro 22% delle imprese non femminili) e per assumere nuove risorse (26% vs 16%).
Se si osservano i dati relativi alle intenzioni future di finanziamento, emerge chiaramente un bisogno “più urgente” da parte delle imprese femminili: il 10% pensa di richiederlo entro 3 mesi, il 33% entro 6 mesi e il 22% entro l’anno – mentre il 28% delle imprese non femminili lo richiederà più avanti nel tempo e il 39% dichiara di non averne bisogno. Spicca inoltre una forte attenzione alle risorse umane: infatti il 26% delle aziende femminili utilizzerà il prossimo finanziamento per formare e assumere dipendenti, contro un 18% delle altre PMI.
Un altro dato interessante riguarda i canali che le imprenditrici pensano di utilizzare per informarsi su un finanziamento futuro: sono decisamente meno le ditte femminili (48%) che pensano di utilizzare il consulente in banca rispetto a quelle maschili (70%). La banca diventa, quindi, non più il canale principale d’informazione di questa categoria, ma resta alla pari della ricerca online (44%) e del consiglio del commercialista (41%).
La quarta edizione del nostro osservatorio ci racconta di un’Italia imprenditoriale che è stata piegata da due anni di pandemia, ma oggi solleva la testa e comincia a ipotizzare un futuro fatto di investimenti per ripartire e tornare a crescere, anche se in un contesto geopolitico e macroeconomico incerto come quello attuale – ha dichiarato Ignazio Rocco, Founder e CEO di Credimi. – Sono infatti diminuite le motivazioni più strettamente emergenziali per richiedere un finanziamento e aumentate quelle che riflettono una prospettiva sul futuro. Credo che le imprenditrici e gli imprenditori italiani abbiano capito che per affrontare i momenti di crisi sia importante investire in tecnologia, risorse umane, magazzino per farsi trovare pronti quando si vivono periodi incerti come quello appena trascorso e, purtroppo, come quello attuale. Un cambio di passo importante che va sostenuto e continuamente promosso perché le PMI sono l’ossatura della nostra economia. Come durante il periodo del lockdown Credimi è stata al fianco delle imprese, aiutandole con lo strumento dei finanziamenti, allo stesso modo oggi lavoriamo per aiutarle a navigare, e a crescere, anche durante questo periodo complesso, attraverso l’ascolto continuo delle loro reali esigenze.
Questa nuova edizione dell’osservatorio restituisce il quadro di un tessuto industriale delle PMI desideroso di ripartire e convinto che ci siano le condizioni per farlo. Il dato appare ancora più promettente tenendo conto che sono proprio le aziende di dimensioni minori, quelle individuali e con un fatturato inferiore al milione, a prevedere un maggiore ricorso al finanziamento. Si tratta pertanto della quota numericamente prevalente, spinta senza dubbio dalla necessità, ma, leggendo le motivazioni, anche dal desiderio di supportare interventi orientati alla crescita. Una fotografia di speranza che, ci auguriamo tutti, possa non essere del tutto vanificata dagli eventi geopolitici e macroeconomici che stiamo vivendo.