Giulia Borgherese: curare le malattie della cultura organizzativa
Intervista a Giulia Borgherese CEO di Borgherese HR Designer
Sociologa esperta di processi organizzativi, Giulia Borgherese continua a interrogarsi sui cambiamenti di paradigma in atto nelle imprese, dedicando particolare attenzione alla valorizzazione del Capitale Umano. Dalla specializzazione in Human Resource Management alla fondazione della società che porta il suo nome, la CEO di Borgherese HR Designer propone chiavi di lettura che tengono conto della centralità del benessere dell’individuo nelle comunità organizzative. Oggi affronta il tema delle “malattie” della cultura aziendale.
Cosa significa cultura aziendale?
Ideologia organizzativa, cultura organizzativa, immagine (o identità) organizzativa, sono tutti sinonimi di ciò che io definirei il “collante” che tiene insieme gruppi di individui che condividono obiettivi, strategie, procedure, visione… In letteratura la cultura aziendale indica l’insieme degli assunti di base che guida un’organizzazione. In pratica, chi entra a lavorare in quella organizzazione, scopre, inventa o sviluppa degli assunti specifici che poi condivide.
Come si manifesta questa cultura?
Valori, principi, comportamenti… Secondo lo psicologo Edgar Schein, possiamo suddividere la cultura aziendale in livelli. Il primo è quello degli “artefatti”: tutto ciò che si vede e si ascolta non appena si entra in azienda. Il clima, le interazioni fra le persone… L’arredamento! Il secondo è il livello dei valori dichiarati: per esempio, ciò che viene scritto sul sito web dell’azienda. Il terzo è il livello degli assunti taciti, ciò che sta dietro ai comportamenti e alle decisioni delle persone in azienda. Mettiamo il caso del silenzio. Se uno di questi assunti fosse “meglio parlare quando si ha una buona idea”, potremmo aspettarci interazioni scandite da pause, funzionali a raccogliere le idee.
Esistono le malattie della cultura organizzativa?
Sì. Decisamente. Gli studiosi Manfred F.R. Kets de Vries e Danny Miller parlano di organizzazioni “nevrotiche”. Aziende dissestate, i cui sintomi e disfunzioni si combinano originando una “sindrome” patologica. Mi ricordo bene un passaggio del loro libro L’Organizzazione nevrotica, appunto: “Come la connessione tra vari sintomi può rivelare la presenza di una disfunzione nell’organismo, così l’insieme dei problemi inerenti alla direzione strategica e alla struttura organizzativa di un’azienda spesso indica l’esistenza di una patologia organizzativa diffusa”.
Esiste un nesso tra leadership e comportamento organizzativo?
Certo. Lo stile dei e delle leader permea a tutti i livelli. Se la leadership è nevrotica, l’organizzazione si adegua e muta. Ammalandosi. Nell’attività di analisi e diagnosi aziendale è importante intuire e analizzare simili comportamenti e, ove possibile, disinnescarne gli effetti attraverso percorsi di coscienza e conoscenza. La consapevolezza è il primo passo verso il benessere organizzativo.
Come si definisce uno stile aziendale nevrotico?
Secondo la classificazione di De Vries e Miller gli stili nevrotici sono cinque: paranoide, ossessivo, isterico, depressivo e schizoide. Nell’organizzazione paranoidela direzione desidera vigilare per essere pronta a tutto. Ciò tende a rendere l’organizzazione cauta e poco innovativa. L’organizzazione ossessiva ha invece – come il termine lascia intuire – una vera ossessione per la pianificazione e la ripetitività. Lo spazio per i cambiamenti è minimo. Nell’Organizzazione istericachi prende le decisioni è impulsivo, guidato dalle impressioni e non dai fatti. Di solito sono aziende iperattive dove si percepisce l’accentramento del potere nelle mani del leader. L’organizzazione depressiva è permeata dalla mancanza di scopo e dall’apatia dei manager. La definirei una realtà passiva. Infine, c’è l’organizzazione schizoide. Qui la leadership manca proprio. C’è un vuoto. Nessuna strategia, nessun piano. Non c’è la volontà di farsi carico di una visione.
Esiste una cura? Mi piace parlare di prevenzione più che di cura. Di solito quando si interviene con l’attività di consulenza organizzativa si rintraccia nell’impresa ancora la possibilità di cambiare rotta, anticipando eventuali situazioni di estremo disagio. Il lavoro da fare, con etica e rispetto, è quello di accompagnare la popolazione aziendale verso la consapevolezza attraverso percorsi formativi, percorsi di coaching, interventi mirati di empowerment e self-efficacy. In parallelo siamo chiamati, come consulenti, ad agire sulla struttura organizzativa, per renderla quanto più possibile capace di promuovere il talento e di rispondere in maniera flessibile alle esigenze del mercato. Anche una buona selezione del personale è un ottimo strumento di prevenzione delle disfunzioni organizzative! Ricordiamoci che non esistono persone giuste in assoluto, ma esistono le persone adatte alle peculiari caratteristiche dell’azienda. Eseguire in maniera organica e strutturata valutazioni delle performance e sviluppare piani di carriera è un’ottima pratica di promozione del personale talentuoso e di prevenzione di potenziali conflitti.