Equità di genere: PNRR e occupazione femminile nella cultura
Che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) rappresenti l’occasione storica per dare una svolta al nostro paese sotto diversi aspetti è questione nota, come questa occasione avrà un impatto sull’occupazione femminile nei settori culturali e creativi e’ ancora tutto da dimostrare.
Il PNRR italiano investe tanto sull’edilizia pubblica e privata e, parlando del capitolo cultura, dei 6,675 miliardi di spesa, la gran parte è dedicata all’edilizia visto che riguarda principalmente l’infrastruttura fisica dei siti archeologici, museali e di culto.
Il piano prevede, infatti, ingenti investimenti sul miglioramento dell’efficienza energetica, la messa in sicurezza dei siti, l’adeguamento in termini di accessibilità e rimozione delle barriere architettoniche, il restauro e la riqualificazione dell’edilizia rurale e un programma di rigenerazione e restauro di parchi e giardini: dei tre grandi capitoli di spesa per la cultura nel PNRR, infrastruttura fisica, digitalizzazione e competenze digitali, sappiamo per certo che i primi due beneficeranno l’occupazione maschile, e che il terzo richiede strumenti di mainstreaming di genere per non aumentare ancora di più il divario nelle competenze digitali. La cultura viene così a rappresentare un caso emblematico: un settore a fortissima presenza femminile dove gli ingenti fondi per la ripresa rischiano di favorire, almeno nell’immediato, l’occupazione maschile.
Il PNRR, nel suo complesso, nelle politiche di genere manca una visione d’insieme e una coerenza interna tra misure e strumenti volti ad una maggiore inclusione lavorativa delle donne. Se il genere, insieme ai giovani e al sud rappresentano una priorità trasversale, lo sforzo che va fatto è quello di capire, in ogni settore, quali misure specifiche potrebbero dare impulso all’inclusione lavorativa delle donne o a una maggiore qualità del lavoro per le donne.
Le poche misure specifiche sono alla voce Educazione e ricerca, dove c’è un Piano asili nido e il potenziamento dei servizi 0-6, così come alla voce Coesione e inclusione, è previsto un investimento di 9 miliardi nella cura per le persone non autosufficienti e nella parte dedicata alle politiche del lavoro istituisce il fondo per l’imprenditoria femminile.
Ci sono, tuttavia, alcuni importanti elementi di novità nell’impianto del piano che vanno registrati e che potrebbero dare una spinta importante all’occupazione femminile nei settori culturali e creativi; infatti, oltre agli interventi di restauro, accessibilità e messa in sicurezza, ci sono altri due capitoli di spesa importanti derubricati come investimenti sulla cultura: la digitalizzazione del patrimonio dei siti archeologici, dei musei, e le competenze digitali degli operatori del settore. Se parliamo di digitalizzazione da una prospettiva occupazionale le donne sono poche. Abbiamo ormai tantissimi dati che raccontano la mancanza di donne nel settore informatico, il gap nelle aperture di start up ad alto contenuto tecnologico, e le Ceo nelle imprese high-tech italiane sono mosche bianche. Se invece parliamo di formazione per l’acquisizione di competenze digitali, potrebbe esserci un risvolto positivo per le donne con interventi efficaci e utili a potenziare davvero le competenze delle lavoratrici, per colmare davvero il divario digitale che separa donne e uomini: bisogna lavorare sugli stereotipi presenti nelle imprese se, come racconta un recente studio Istat, laurearsi in materie STEM (discipline scientifico-tecnologiche) non è un vantaggio occupazionale per le donne laddove, in proporzione, a parità di laurea tecnico-scientifica, queste vengono assunte molto meno dei loro compagni di studio.
Durante la redazione del PNRR la trasversalità del tema “parità di genere” quindi ha avuto bisogno di impegni chiari e misure concrete per potersi attuare; sono stati identificati due dispositivi importanti, le clausole di condizionalità e premialità, pensate per promuovere la partecipazione delle donne anche (e soprattutto) in settori in cui sono meno presenti.
Progettata dalla Commissione “Occupazione femminile” istituita presso il Ministero del Lavoro questa misura di “quota occupazionale” implica quote del 30 per cento di donne e giovani under 36, obbligatorie per le imprese che parteciperanno ai bandi di gara nelle nuove assunzioni legate alla messa in opera dei progetti approvati nell’ambito del PNRR: la cosiddetta condizionalità, quota obbligatoria del 30% alla nuova occupazione di giovani e donne creata dal piano, e il sistema di premialità aggiuntiva, che inserisce, invece, elementi qualitativi, come per esempio la presenza delle donne nei consigli d’amministrazione, nella gestione di impresa e a tutti i livelli di carriera, l’adozione da parte delle imprese di misure a sostegno delle carriere delle donne, l’adozione di misure contro le discriminazioni di genere o il pay gap salariale: entrambi da realizzarsi all’interno del procurement pubblico: non si tratta di un sistema opzionale, anzi, l’applicazione della condizionalità obbligatoria all’esecuzione dei progetti del Pnrr, rappresenta, come dice la stessa parola, una “condizione” per la realizzazione degli stessi, oltre che una sfida e un’innovazione importante.
Il rispetto del 30% nell’occupazione aggiuntiva, creata dai singoli progetti del Pnrr, per giovani e donne è quindi obbligatorio e condiziona sia l’accesso ai fondi in sede di presentazione dell’offerta, sia l’esecuzione del progetto e quindi, sin dall’avvio della commessa, il progetto sa che dovrà farsi carico di rispettare questa quota; la tipologia di clausole e criteri della premialita può essere, invece, molto varia come, per esempio, a parità di punteggio vince la gara l’impresa guidata da una donna, o il rispetto dei parametri di genere per poter partecipare a gare sopra una certa soglia.
Quanto questa disposizione riuscirà a incidere sul sistema degli appalti dipenderà molto dai regolamenti di esecuzione, e quindi dalle clausole di esclusione o dall’apparato sanzionatorio, ma anche dalle modalità di computo del 30%; la valutazione della sua effettività dipenderà da un adeguato sistema di monitoraggio e di supporto alla copertura della quota: si tratta della prima sperimentazione in tal senso, che mira a far uscire il tema della quota dall’orizzonte ideologico, in cui è da decenni relegata, per introdurla legittimamente nell’alveo degli strumenti di politica economica.
Un effetto secondario, ma non minore, delle clausole di premialità e condizionalità, è, quindi, quello di promuovere la raccolta di dati, soprattutto per le misure che intervengono sulle piccole e medie imprese culturali. Abbiamo, infatti, pochi dati a disposizione sul settore culturale, i quali ci raccontano che è un settore dove lavorano più donne, che è un settore con bassi salari e molta precarietà. Ma sono dati appunto scarsi, discontinui (ossia non vengono rilevati con una frequenza periodica), frammentati (quindi non abbiamo una copertura coerente, per esempio, tra cinema e teatro, tra editoria e danza, ecc.) o provengono da fonti diverse per cui alcuni dati sono stati costruiti da associazioni di categoria, altri da gruppi di attiviste, altri da istituti statistici o da ricerche accademiche. Il risultato è che non si ha un quadro chiaro e che rispecchi l’attualità sulla presenza delle donne nel settore culturale nel suo complesso e nemmeno comparto per comparto. Nella carenza di dati una delle cose che rimangono difficili da capire è soprattutto la qualità del lavoro: non si riesce a comporre né un quadro puntuale sulla presenza e nemmeno una panoramica esatta della posizione delle donne nel sistema culturale, e, quindi, diventa molto difficile stabilire degli obiettivi di miglioramento e ancora più difficile comprendere se politiche e misure funzionano. .
Avere i dati è importante ma non basta, c’è bisogno di un luogo in cui vengono raccolti e analizzati.
A questo proposito, con un decreto del 2 novembre 2021 il Ministro della Cultura, Dario Franceschini, ha nominato i membri dell’Osservatorio per la parità di genere del MiC che avvierà così la sua attività. L’Osservatorio è composto da quindici membri – esperti delle politiche di genere e rappresentanti dei settori di competenza del Ministero – che avranno il compito di fornire consulenza e supporto nell’elaborazione e attuazione di politiche per la parità di genere, nonché attività di ricerca e monitoraggio negli ambiti di competenza del Ministero. L’Osservatorio dovrà anche individuare e proporre buone pratiche, promuovere la formazione, la conoscenza e la cultura delle pari opportunità. I componenti resteranno in carica per tre anni e potranno essere rinnovati. La partecipazione alle attività dell’Osservatorio non dà titoli a compensi, gettoni di partecipazione, indennità di alcun tipo. Dell’Osservatorio faranno parte: Celeste Costantino, in qualità di coordinatrice; Eleonora Abbagnato; Stefano Accorsi; Flavia Barca; Maria Pia Calzone; Cristiana Capotondi; Cristina Comencini; Ricardo Franco Levi ed altri.
Siamo solo all’inizio di quella che, ci auguriamo, sia una trasformazione radicale della società.
Stefania Gregis
Ecco alcuni link per approfondimenti del tema trattato in questo articolo:
https://www.beniculturali.it/comunicato/21550
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2022/03/30/22A01988/sg