Diritto alla privacy: se l’azienda la viola è sanzionabile
Torniamo sul tema della privacy in azienda. Sempre più diffusi sono i sistemi di controllo dei lavoratori collegai a processi produttivi: badge, software per la contabilizzazione delle ore, sistemi di tracking delle flotte aziendali, telecamere.
Come fare per vigilare sull’uso corretto che l’azienda deve fare delle informazioni detenute per le esigenze di sicurezza e di operatività?
Eccezionalmente la giurisprudenza ritiene lecito l’uso di telecamere nascoste e in assenza di appositi avvisi affissi sul luogo di lavoro quando è necessario procurarsi le prove di un grave illecito penale commesso da un dipendente specifico nei cui confronti vi siano già fondati sospetti. Questo a molti lavoratori non è noto ma le telecamere nascoste possono essere installate solo ex post, ossia una volta che siano già stati acquisiti gli elementi che facciano sospettare di un individuo e mai prima. C’è quindi differenza tra controllo preventivo e punitivo.
Occorre anche sapere che il datore di lavoro viola sempre la privacy di un suo dipendente quando effettua perquisizioni non autorizzate o non rispettose della dignità e della riservatezza dei lavoratori. Anche il controllo nei cassetti della scrivania, sulla scrivania stessa o la perquisizione di una borsa, zaino o altro è consentita solo in casi specifici, ad esempio per i cassieri di banca o chi hanno un contatto diretto con i beni aziendali (ad esempio, i magazzinieri). In tutte le altre situazioni, le perquisizioni sono sempre vietate. Altro caso che genera numerose contestazioni soprattutto per i Quadri direttivi e alte professionalità in azienda riguarda l’accesso alle email e ai dati personali dei dipendenti (navigazione web) senza bisogno del previo permesso dei sindacati o dell’Ispettorato del lavoro che sono vietate salvo se il datore di lavoro ha informato preventivamente i dipendenti del fatto che le loro comunicazioni potrebbero essere monitorate e garantendo con l’avallo del sindacato il rispetto delle normative sulla protezione dei dati personali. Monitorare in modo sistematico i profili social dei dipendenti o richiedere le credenziali di accesso ai loro account è sicuramente vietato mentre invece bloccare l’accesso informaticamente è consentito. I lavoratori hanno il diritto alla riservatezza delle loro comunicazioni e delle informazioni personali condivise online, anche se esistono numerose sentenze della magistratura arrivate fino alla Cassazione che ritengono lecita l’apertura di un profilo falso da parte del datore di lavoro per controllare se il dipendente chattava durante le ore di lavoro anche se non si utilizza il pc aziendale.
In sintesi, un datore di lavoro ha diritto al controllo di un dipendente ma senza violare la privacy a alle condizioni stabilite dalla legge e delle garanzie previste per proteggere la dignità e la riservatezza dei lavoratori.