La tiepida minestra del Decreto Lavoro
E Maggio arrivò. Il primo Maggio ci porta il Decreto del Governo sul Lavoro. Tralasciando il modo con cui si è arrivati a questo passo (e la convocazione alle sette di sera del giorno prima delle parti sociali…) e la scelta politica della data, il decreto Lavoro ha deluso le aspettative di chi da tempo chiede una migliore organizzazione normativa sul lavoro, chi combatte per spiegare che le tasse le pagano soprattutto i redditi alti da lavoro dipendente, chi cerca con studi e argomentazioni scientifiche di mettere nell’agenda una politica di lungo periodo che favorisca sul serio l’occupazione, di priorizzare azioni affinchè il welfare pubblico non si frantumi a breve. La novità di questo decreto che ha fatto pochi tiepidi passi avanti è stata quella di riformare il “decreto Dignità” fortemente voluto dal governo Conte con Luigi Di Maio ministro del Lavoro, che ricordo al lettore prevedeva il rinnovo dei contratti a tempo determinato dopo un anno e per altri 12 mesi solo in caso di alcune causali, senza le quali altrimenti sarebbe scatta l’assunzione a tempo indeterminato. Il governo Meloni interviene sulle causali per i rinnovi dai 12 ai 24 mesi legandole più alle indicazioni contenute nei contratti collettivi o aziendali, se non ad accordi diretti tra imprese e dipendente, con l’obiettivo di semplificare la vita alle imprese ma subito è evidente il vulnus che sempre caratterizza ogni atto di liberalirtà a senso unico, verso le imprese, in un sistema con nulli controlli ed un mercato del lavoro ingessato. Il rischio concreto è di incentivare così la precarietà dei posti di lavoro che non risolve il fatto che oggi i datori di lavoro hanno un vantaggio forte nell’assumere un nuovo dipendente a termine anziché trasformare i contratti in tempo determinato.
Molto meglio è quanto si prevede per l’assunzione di giovani “neet” (con aumento della etichetta di età a a 30 anni) un segmento di popolazione dove (come si evince nella tabella sotto) siamo tristemente primi nella classifica europea, giovani che oggi né lavorano né studiano e che rischiamo di emarginare dalla nostra società. Per loro, anche per contratti di apprendistato, il governo indica a carico della collettività il 60% della retribuzione lorda per i primi 12 mesi. Lo sconto sarà confermato anche per le assunzioni di under 35 al Sud e nelle Isole, purché siano disoccupati. Aumenta la soglia per i pagamenti con i voucher, che passa da 10 a 15 mila euro in particolare per le aziende del settore fiere, congressi, eventi, oltre che per gli stabilimenti termali e parchi divertimenti. Nel settore turistico, cade il limite per i contratti di apprendistato finora fissato a 29 anni, per aprire la possibilità di assunzione anche a disoccupati sopra i 40 anni.
Tiepida la minestra, riscaldata a sufficienza per darle un contenuto di novità.
Ciò che manca anche a questo governo fino ad ora, in tema di politiche del lavoro, è la convinzione di puntare decisamente verso la piena occupazione che può essere ottenuta dando alla struttura del mercato del lavoro un approccio olistico e flessibile per affrontare questo obiettivo. Per favorire la piena occupazione, è necessario adottare una combinazione di politiche e misure che stimolino la crescita economica, incoraggino gli investimenti e promuovano la creazione di posti di lavoro. Il decreto lavoro del 1 maggio interviene solo in una piccola e limitata parte di azioni che però non pongono ancora come priorità una crescita economica sostenuta. Una crescita economica robusta è fondamentale per creare nuovi posti di lavoro e ridurre la disoccupazione. Gli sforzi per promuovere la crescita dovrebbero includere politiche fiscali e monetarie adeguate, investimenti infrastrutturali, sostegno alle imprese e incentivi per l’innovazione e lo sviluppo tecnologico che non può essere solo affidata al PNRR.
Una visione che deve allargarsi ad un nuovo ruolo da dare all’istruzione e nella formazione professionale che aiuta le persone a sviluppare le competenze necessarie per entrare nel mercato del lavoro o per adattarsi alle nuove esigenze del settore insieme a programmi di riqualificazione e di apprendistato che possono aiutare a colmare il divario tra le competenze richieste dalle imprese e quelle possedute dai lavoratori.
Per i contenuti sul Decreto lavoro sul fronte delle politiche sociali vi invito a leggere l’articolo Guardiamoci dentro
Manca ancora una politica di lungo periodo per favorire l’inserimento e la reintegrazione dei disoccupati nel mercato del lavoro. Queste politiche devono includere programmi di formazione specifici, sostegno all’avvio di attività imprenditoriali, incentivi per l’assunzione di lavoratori a lungo termine disoccupati e programmi di sostegno al reddito con obblighi di ricerca attiva di lavoro. Tutte cose che un decreto Lavoro dovrebbe prevedere.
Gli incentivi fiscali e finanziari ad oggi previsti si sono dimostratì incapaci di incoraggiare le imprese a investire in nuovi progetti e ad espandere le loro attività, creando così nuovi posti di lavoro. Agevolazioni fiscali, crediti d’imposta per l’assunzione di lavoratori e agevolazioni per gli investimenti in determinati settori o regioni non sono da soli capaci di garantire la piena occupazione.
Occorre favorire la managerialità in tutti gli ambiti: pubblici e privati. Solo una iniezione forte di manager capaci, che vengono dal basso, che sanno fare ma anche coordinare e guardare al lungo periodo, può generare nuove opportunità lavorative. Ciò può essere fatto attraverso la semplificazione delle procedure burocratiche per l’introduzione di middle manager nel settore pubblico (sottolineiamo da tempo che non c’è ancora una visione organica del ruolo dei Quadri nella PA), l’accesso facilitato al tempory management anche con azioni di credito per gli imprenditori che lo adottano, l’incubazione di startup e la promozione di ecosistemi manageriali.
In ultimo non depone bene la mancanza di collaborazione tra governo, settore privato e società civile. La conflittualità che questo governo ha favorito anche con la scelta di non concordare nulla del decreto con le parti sociali non favorisce un “goodwill” che porta ad affrontare compiutamente il problema della disoccupazione, è necessaria una collaborazione tra il governo, il settore privato e la società civile ed il coinvolgimento di tutte le parti interessate per arrivare a politiche e iniziative più efficaci per creare occupazione.