Simone Poccia: i segreti dell’attore al servizio del manager
Simone Poccia è attore giovane ma con numerose esperienze teatrali, diplomato all’Accademia Beatrice Bracco. I suoi ultimi lavori sono con Romeo Castellucci in “Bros” mentre con la regia di Paola Campagna in After Hours e in Reading su Jack Kerouac in occasione del centenario dalla nascita. A Roma nel 2021 ha fatto parte della compagnia impegnata in “No tengo miedo”, regia di Sabrina Galateri, al Teatrosophia di Roma e in “La memoria dell’acqua” per la regia di Gennaro Colangelo. In questa intervista gli abbiamo chiesto di spiegarci se i metodi applicati alla recitazione possono e come essere utilizzati in ambito manageriale.
Per quanto vengano spesso ascritti ad una dimensione cinematografica e teatrale, i metodi attoriali vanno ben oltre quest’ultima, e il ricorso ad essi risulta efficace nei più disparati campi, dalla medicina all’economia, passando per il diritto. Tali metodi implicano delle tecniche che, se applicate, possono mettere il parlante nelle condizioni di accattivarsi la simpatia dei propri interlocutori, di catturare la loro attenzione e di valorizzare il contenuto del messaggio che vuole veicolare. Qual è, secondo lei, il metodo che potrebbe portare a dei buoni risultati in tempi brevi?
“Ci sono diversi metodi che vengono utilizzati nel lavoro dell’attore e molto diversificati tra loro, non tanto nel risultato finale ma piuttosto nelle modalità degli esercizi e del lavoro specifico. Se parliamo di un risultato nel breve termine, mi sento di consigliare un lavoro mirato sulla fiducia e sull’assenza del giudizio verso sé stessi, i quali non sono altro che dei piccoli basilari imprinting del metodo Stanislavskij/Strasberg.
Lavorare sulla fiducia significa affidarsi alle proprie capacità e alla propria proposta (nel caso specifico della presentazione di un progetto).
Il primo requisito, la fiducia, non sussiste senza il sostegno del secondo, cioè l’assenza di giudizio verso sé stessi, entrambi difficili da ottenere in quanto “il nostro peggior nemico siamo noi” e, in virtù di ciò, tendiamo a non fidarci e a giudicarci. Naturalmente, a questo lavoro bisogna affiancare lo studio di una corretta dizione e di un corretto modo di scandire le parole, per essere compresi meglio e tenere alto il focus sul discorso. Infine, è di fondamentale importanza conoscere bene i nostri interlocutori (pubblico) e le loro esigenze (che cosa cercano nel nostro progetto? Quale potrebbe essere il loro guadagno? Vi sono più benefici o costi nell’accettare la nostra proposta?).”
Ritiene che sia necessario, per un professionista, seguire dei corsi avanzati di public speaking, in cui esperti del mestiere insegnano ai frequentanti a padroneggiare tanto il linguaggio verbale quanto quello non verbale – linguaggio non verbale che, ricordiamolo, è il maggior responsabile della buona riuscita della comunicazione interpersonale? O è sufficiente leggere un manuale e mettere in pratica quanto ivi riportato?
“Non credo sia sufficiente leggere un manuale: il rapporto umano e relazionale in queste circostanze è fondamentale, anche perché non si tratta di matematica, non c’è un percorso univoco per ciascuno di noi, ogni persona ha dei suoi punti di forza e punti che devono essere affinati.
La chiave non è diventare un imprenditore di successo seguendo un modello matematico, ma ritrovare in sé stessi le cosiddette skills che ci rendono unici: la risposta, come sempre, non va mai ricercata all’esterno.”
Sembra che l’adozione di un metodo attoriale aiuti il parlante a curare solo la forma di quello che dice, e non anche il contenuto. Tuttavia, è dimostrato che i corsi vòlti al perfezionamento delle cosiddette “soft skills” dell’individuo incidono sia sulla qualità del modo in cui comunichiamo, sia sulla qualità di quanto comunichiamo. In altre parole, il contenuto del nostro messaggio trae beneficio dagli insegnamenti attoriali impartiti. Ne conviene?
“Assolutamente! E anche involontariamente, grazie ad una conoscenza profonda di noi stessi tramite questi metodi, riusciamo a dare corpo e consapevolezza ai nostri procedimenti cognitivi e di conseguenza il contenuto ne trae beneficio. Mi piace pensare che questo sia il tempo della sostenibilità, della verità, della coerenza. È dunque la rivincita dei contenuti, della sensibilità, della serietà. Bisogna studiare e poi esprimersi facendo venir fuori la propria personalità, la propria visione della vita. È dura. Ma ce la faremo.”