Novembre 24

Fusioni e acquisizioni: il ruolo del middle manager

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Come il manager può aiutare a condizionare in positivo e negativo tutti gli aspetti che riguardano sia la parte di due diligence e sia la parte operativa dopo che è avvenuta alla fusione l’acquisizione?

Spesso viene considerata sufficiente, per il successo dell’operazione, solo la parte legale e finanziaria dell’acquisizione o della fusione, prevale il taglio giuslavoristico che copre gli aspetti legali delle risorse umane e viene valutato in particolare l’effetto economico dell’onboarding di tutte le figure apicali dell’azienda acquisita/fusa. Ne deriva che si curano tutte quelle clausole anche paracadute che vengono inserite nella fusione o nell’acquisizione, per garantire all’azienda acquirente la sostituzione del management in maniera più cautelativa possibile. Nell’esperienza pratica ci sono anche una serie di attività che sono di taglio operativo e che riguardano soprattutto i C-level cioè quei dirigenti ma sempre più spesso, se non sempre nelle medie e grandi aziende, i Quadri che rappresentano la cinghia di trazione della forza lavoro e dei processi dell’azienda acquisita/fusa, sono le figure importanti nella fase pre e post acquisizione perché gestiscono dei team sono a capo di strutture complesse e dell’azienda che viene acquistata o che viene fusa conoscono tutti i processi e che quindi hanno un elevato grado di responsabilità manageriale ma anche un ruolo importante affinché le acquisizioni/fusioni vadano bene.

Per comprendere quanto pesi il ruolo del middle management nel processo di fusione/acquisizione e i rischi che si corrono se non viene introdotta una adeguata informazione e condivisione degli obiettivi, abbiamo chiesto il parere ad una esperta del settore HR, Giulia Borgherese CEO di BHR Designer, che si occupa da vent’anni di consulenza manageriale e di ricerca e selezione di profili apicali.

Il suo punto di vista considera, oltre i casi di successo, le innumerevoli fusioni e acquisizioni fallite (oltre il 50%) per mancanza di cura degli aspetti organizzativi e relazionali. Questi ultimi generalmente sono considerati a dir poco marginali rispetto ai temi più puramente economici. Anche se incidono sull’economia generale di queste operazioni più di quanto ci si immagini. Lo si può evincere dall’impiego, durante le fasi di negoziazione e due diligence, di figure tecniche, che concentrano l’attenzione sugli aspetti economici, finanziari e legali. Mancano all’appello esperti di processi organizzativi, di change management, che possano curare, con la stessa attenzione, gli aspetti più delicati legati all’integrazione e la gestione del personale.

“E’ molto importante evitare marcate differenze tra la fase di strategia e quella dell’execution. Spesso il mancato allineamento del personale, rispetto a quanto sta accadendo, crea pericolose zone grigie, dove è difficile reperire informazioni e incidere sui comportamenti organizzativi. Credo che sin dai primi momenti della due diligence sia fondamentale il coinvolgimento delle key people. La condivisione e la trasparenza della strategia organizzativa permettono di prevenire errori di valutazione e resistenze psicologiche al cambiamento. Si verifica purtroppo di frequente che le figure con responsabilità vengano interpellate solo quando sono state acquisite, che vengano magari coinvolte dai nuovi colleghi, inserite in nuovi progetti, senza aver avuto l’adeguata induction. Ma ciò che a me sembra più grave, poiché ricade sul livello di engagement è il non essere stati coinvolti e responsabilizzati durante il processo di armonizzazione della cultura aziendale”.

Per Giulia Borgherese condividere le informazioni significa consegnare fiducia e favorire la costruzione di una nuova cultura organizzativa.

“Negli aspetti organizzativi la fiducia gioca un ruolo cruciale, al pari della trasparenza e della condivisione delle informazioni. Chiarire a monte obiettivi e strategia, coinvolgendo soprattutto i Quadri è molto importante. La condivisione, nella mia esperienza, è facilitata da mettere in campo delle azioni metodiche, quasi delle liturgie, legate allo sharing knowledge. Momenti canonici di scambio e condivisione, preceduti se possibile dal team building, inteso come tutto quel set di attività che facilitano la creazione e la strutturazione dei gruppi di lavoro. Di fatto occorre costruire una terza cultura: frutto dell’integrazione delle due originarie. Si tratta di una nuova dimensione in cui co-esistere e cooperare. La chiarezza, la trasparenza, l’assenza di ambiguità aiuta a gestire la sovrapposizioni dei ruoli, che sono il tallone di Achille di queste operazioni. La paura si annida nel processo di valutazione dei ruoli duplicati e genera inerzia o iperattività. L’errore più grave, che spreca risorse fondamentali e che rilevo capiti spesso è “parcheggiare” Quadri e Dirigenti in esubero, poiché non si è compreso come riposizionarli in base alla nuova organizzazione. Di fatto soprattutto i Quadri e i dirigenti, in funzioni replicate, rimangono in un limbo senza conoscere il proprio destino. Inoltre non sono rari i casi in cui le aziende, coinvolte in operazioni complesse di fusione o acquisizione, restino in continua revisione organizzativa, in cui le cosiddette disposizioni organizzative si avvicendano in maniera repentina, senza concedere il tempo al sistema di recepire i cambiamenti. Questo modo di agire destabilizzante è frutto della mancata analisi del contesto e dell’assenza di coinvolgimento del personale nella realizzazione della strategia organizzativa. Inoltre a mio avviso la co-costruzione della strategia operativa facilita l’execution e crea il clima di condivisione propedeutico al cambiamento. Come agire in pratica? Una opzione è individuare un Manager, meglio se Quadro, e renderlo partecipe del processo di fusione o di acquisizione, un manager di integrazione. Si tratta di un ruolo strategico che funge da pivot tra le imprese sia dal punto di vista formale e che informale. Mettendo a disposizione le proprie competenze e relazioni, supportato dalla funzione HR, il manager di integrazione governa e favorisce la transizione, creando gruppi misti e mettendo al centro nuovi e sfidanti obiettivi condivisi. L’arco temporale per la verifica della riuscita di queste operazioni è identificato nei primi tre anni. In letteratura si trovano casi che arrivano a cinque anni, per avere gli elementi per valutare se l’acquisizione/fusione ha avuto successo e se la cultura organizzativa ha fatto nascere una nuova impresa armonica e di successo. “

Giulia Borgherese, CEO BHR Designer

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