Architettura: i protagonisti della Hall of Fame 2024

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Ovvero i vincitori dei principali premi di architettura nell’anno che si è appena concluso: ne vogliamo qui parlare in una chiave di lettura che punta l’attenzione soprattutto sulle motivazioni, in tema di etica sociale, sostenibilità e democratizzazione, per una reale globalizzazione del segno creativo e dell’impegno costruttivo dell’architettura contemporanea.

Riken Yamamoto si è aggiudicato la 53esima edizione del Pritzker Architecture Prize, il più alto riconoscimento internazionale in ambito architettonico. Yamamoto il nono premiato e originario del Giappone, ad appena cinque anni di distanza dall’attribuzione al compianto Arata Isozaki, prosegue il percorso del successo dell’architettura giapponese contemporanea sulla scena globale: un artefice che “sfuma i confini tra la dimensione pubblica e quella privata, moltiplicando le opportunità di incontro tra le persone, attraverso strategie progettuali precise e razionali”. Nato a Pechino nel 1945 e trasferitosi nella città giapponese di Yokohama nel secondo dopoguerra, Riken Yamamoto si è formato alla Nihon University, laureandosi nel 1968, si è successivamente specializzato alla Tokyo University of the Arts, dove ha conseguito il Master of Arts in Architecture nel 1971. Due anni più tardi ha fondato il suo studio, Riken Yamamoto & Field Shop, del quale è ancora oggi al timone.. La sua carriera abbraccia cinquant’anni e i suoi progetti,in Giappone, Repubblica popolare cinese, Repubblica di Corea e Svizzera (The Circle Convention Center), che vanno dalle residenze private (la sua casa, GAZEBO (Yokohama, Giappone 1986; Ishii House (Kawasaki, Giappone 1978; Pangyo Housing (Seongnam, Repubblica di Corea 2010),),  e  all’edilizia pubblica, dalle scuole elementari (Koyasu Elementary School (Yokohama, Japan 2018) agli edifici universitari (Saitama Prefectural University (Koshigaya, Giappone 1999), specializzata in scienze infermieristiche e sanitarie) dalle istituzioni agli spazi civici (Stazione dei vigili del fuoco di Hiroshima Nishi, Hiroshima, Giappone, 2000; Museo d’Arte di Yokosuka, Yokosuka, Giappone 2006; municipio di Fussa (Tokyo, Giappone 2008)) e all’urbanistica. Nonostante la progettazione architettonica sia realizzata pressoché in Estremo Oriente, all’inizio della sua carriera, Yamamoto ha viaggiato intensamente, ragion per cui nella motivazione del premio, la commissione, ancora una volta presieduta dal cileno Alejandro Aravena, ha sottolineato che “vivendo in prima persona la cultura e la vita quotidiana delle comunità di altri continenti, dal Nord al Sud America, attraverso il Mediterraneo, il Medio Oriente e l’Asia, Yamamoto ha indagato le radici e la storia della vita comunitaria”, ed è proprio tenendo a mente la necessità di tutti esseri umani, a qualsiasi latitudine, di misurarsi con la dimensione collettiva e conviviale, che, progressivamente, ha sviluppato e perfezionato il suo linguaggio. Yamamoto, architetto e sostenitore sociale, stabilisce un’affinità tra il regno pubblico e quello privato, ispirando società armoniose nonostante la diversità di identità, economie, politica, infrastrutture e sistemi abitativi; collegando culture, storie e cittadini multigenerazionali, con sensibilità e adattando l’influenza internazionale e l’architettura modernista alle esigenze del futuro. 

Sia le opere realizzate su piccola che quella su larga scala dimostrano qualità magistrali degli spazi stessi, concentrandosi sulla vita che ognuna incornicia. La trasparenza viene utilizzata in modo che chi è all’interno possa sperimentare l’ambiente che si trova oltre, mentre chi passa possa provare un senso di appartenenza. Offre una coerente continuità del paesaggio, progettando in dialogo con gli ambienti naturali e costruiti preesistenti per contestualizzare l’esperienza di ciascun edificio. Ha sviluppato influenze dalla tradizionale machiya giapponese e dagli oikos greci che esistevano in relazione alle città, quando la connettività e il commercio erano essenziali per la vitalità di ogni famiglia. Nella motivazione la giuria, infine, ringrazia il progettista nipponico “per aver creato consapevolezza nella comunità su quale sia la responsabilità della domanda sociale, per aver messo in discussione la disciplina dell’architettura, per calibrare ogni risposta architettonica individuale, e soprattutto per ricordarci che in architettura, come in democrazia, gli spazi devono essere creati dalla volontà delle persone…”.                                                                             

L’impegno per “democratizzare l’architettura” è portato avanti anche da Lesley Lokko, fondatrice dell’African Futures Institute di Accra, in Ghana, e curatrice della Biennale Architettura 2023 di Venezia, che per questo impegno ha ricevuto la Royal Gold Medal 2024 for Architecture, una delle più alte onorificenze mondiali per l’architettura, consegnata a nome di Sua Maestà il Re, riconoscendone il valore nel promuovere approcci diversi all’attività e all’educazione architettonica e un’influenza significativa, direttamente o indirettamente, sul progresso dell’architettura. Per oltre due decenni, Lokko ha dedicato la sua carriera ad amplificare le voci sottorappresentate e ad esaminare il complesso rapporto tra architettura, identità e razza, incidendo profondamente sulla formazione, sul dialogo e sul discorso architettonico. Per il RIBA Honours Committee 2024, presieduto dal Presidente Muyiwa Okie composto da Yasmeen Lari, beneficiario della Medaglia d’Oro Reale 2023, Ivan Harbour,architetto e senior partner di RSHP, Neal Shasore, Head of School e Chief Executive della London School of Architecture, e Cindy Walters, architetto e partner di Walters & Cohen, la sua opera è un “chiaro appello per un’equa rappresentazione nelle politiche, nella pianificazione e nella progettazione che danno forma ai nostri spazi”.  L’acclamata architetta, educatrice, autrice e curatrice ghanese-scozzese, infatti, nel 2021 ha fondato l’African Futures Institute (AFI)ad Accra, in Ghana, con l’obiettivo di creare un nuovo modello di istruzione, ricerca e dialogo pubblico che unisca le arti, le discipline umanistiche e le scienze: operando come un centro studi panafricano, l’istituto promuove un insegnamento all’avanguardia e una ricerca di livello mondiale per affrontare le sfide contemporanee in materia di razza, giustizia ambientale e nuove forme di urbanistica. Tra i suoi ruoli di rilievo figurano quello di fondatrice e direttrice della Graduate School of Architecture dell’Università di Johannesburg e quello di preside della Bernard and Anne Spitzer School of Architecture del City College di New York; infine; nel 2023, Lokko è stata insignita, anche, di un OBE (un’onorificenza britannica) per i servizi resi all’architettura e all’istruzione ed è stata curatrice della 18a Biennale Internazionale di Architettura di Venezia: intitolata “Laboratory of the Future”, la mostra ha posto l’Africa al centro e ha incluso la sua prima componente educativa, riunendo 50 studenti di tutto il mondo per un programma didattico di quattro settimane incentrato sui due temi della mostra: decarbonizzazione e decolonizzazione.
Alla notizia della Gold Medal Lesley Lokkoha dichiarato che “non si tratta di un semplice trionfo individuale, ma di una testimonianza delle persone e delle organizzazioni con cui ho lavorato e che condividono i miei obiettivi”: in questa visione si riconosce in lei, ancor di più, l’umile forza rivoluzionaria che, con la sua ambizione e il suo ottimismo, lascia un segno indelebile sulla scena architettonica mondiale, reimmaginando “l’Africa come il crogiolo del futuro” dell’umanità.        

Infine citiamo David Lake e Ted Flato, dal 1984 alla guida dello studio Lake | Flato Architects, con sede a San Antonio e ad Austin, in Texas, i quali sono stati premiati con l’AIA Gold Medal per la loro capacità di trattare questioni ambientali e socio-politiche complesse, in un’ottica di inclusività e tutela del Pianeta. Entrambi texani e laureati in Architettura all’Università di Stanford, hanno iniziato con la progettazione di ranch nella loro terra di origine, per poi affermarsi come architetti e urbanisti grazie a tanti altri progetti, di diverse scale e tipologie, realizzati in Texas e non solo: da sempre all’avanguardia nella progettazione sostenibile, Lake|Flato si distingue per la volontà di creare luoghi più salubri, sostenibili e inclusivi, ispirati alla natura. Vincitore di numerosi riconoscimenti, lo studio è stato premiato 15 volte con il COTE Top Ten Awards, assegnato dal comitato dell’AIA che si occupa dell’ambiente (Committee on the Environment). Negli anni, lo studio ha contribuito a proteggere l’accessibilità a oltre 20.000 ettari di terreno in Texas e a preservare più di 14.000 ettari di habitat segnati da criticità ambientali dalla Virginia Occidentale alle Everglades della Florida. Uno dei COTE Top Ten Awards è stato ottenuto, nel 2020, grazie al progetto del Marine Education Center a Ocean Springs, nel Mississippi, destinato a sostituire la precedente struttura distrutta dall’uragano Katrina nell’agosto 2005, esemplare per l’uso e la manutenzione del territorio come prima linea di difesa contro le catastrofi naturali. Sempre nel 2020, lo stesso riconoscimento è stato assegnato per la Austin Central Library, una delle biblioteche pubbliche più luminose al mondo, certificata LEED Platinum; un altro dei COTE Top Ten Awards è arrivato, nel 2023, per il Confluence Park a San Antonio, un laboratorio vivente che permette ai visitatori di comprendere meglio gli ecotipi della regione del Texas meridionale e la funzione del di spartiacque svolta dal fiume San Antonio. Con una carriera così votata ad un impegno costante per la progettazione biofilica e il benessere delle persone, chiaramente espresso in tanti altri progetti, si può ben capire come il più prestigioso riconoscimento dell’American Institute of Architects (AIA), che annualmente premia professionisti che hanno saputo esercitare un’influenza duratura sulla teoria e sulla pratica dell’architettura, nel 2024, sia stato assegnato a David Lake e a Ted Flato: perché “grazie all’insieme di natura, bellezza e resilienza, hanno reso il tema della sostenibilità emozionante come pochi altri architetti hanno saputo fare».
Una menzione d’onore va fatta a Mario Botta, fondatore dell’Accademia di Architettura di Mendrisio, in Svizzera, insignito del prestigioso Piranesi Prix de Rome alla Carriera, assegnato dall’Accademia Adrianea di Architettura e Archeologia, in collaborazione con L’Ordine degli Architetti, Paesaggisti, Pianificatori e Conservatori di Roma, con le motivazioni seguenti: «Considerando il percorso professionale nella sua interezza, Mario Botta è stato uno degli architetti più influenti e imitati tra gli anni Settanta e gli anni Novanta del Novecento, un periodo in cui l’architettura ha registrato, anche grazie al suo talento e alla sua intensa produzione, un significativo spostamento di paradigma verso la riconsiderazione dei temi storici e il progressivo abbandono di quelli del modernismo radicale». Il prestigioso riconoscimento è stato consegnato all’architetto ticinese, nato a Mendrisio nel 1943, nel corso di una cerimonia tenutasi alla Casa dell’Architettura di Roma, in occasione della quale, Mario Botta ha tenuto una ‘lectio magistralis’ in cui ha ripercorso i momenti salienti del suo percorso professionale, e ha voluto omaggiare Giambattista Piranesi con queste parole: “Ricevere un premio dedicato a Piranesi è per me un onore. Forse non sarei ciò che sono senza Piranesi, che più di altri ha disegnato, facendo dell’immaginario collettivo la sua ragione d’essere e di lavoro. È stato un folgorante esempio di complessità del luogo di vita, attraverso immagini che moltiplicano i punti di vista fino a determinare una sinfonia di spazi e visioni prospettiche impossibili da realizzarsi. Tale premio induce a far correre l’immaginario al di sopra di funzioni, tecnica e gravità del costruire, per offrire ai visitatori una ricchezza fatta di luce e distribuzione di spazi finalizzati alla gioia di vivere».