Smart working: ecco il Protocollo sul lavoro agile
Il “Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile” è operativo dal 1 gennaio 2022. Dopo una lunga fase di confronto con le Parti sociali e promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali a dicembre 2021 è stato sottoscritto l’insieme delle norme basiche per la gestione dello smart working, obiettivo dichiarato quello di adeguare il lavoro agile alle esigenze di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, di impiego di risorse rispettose della sostenibilità ambientale e del benessere collettivo. Definito nella normativa italiana “lavoro agile”, lo smart working è diventato il modo di lavorare di più di otto milioni di italiani.
L’iter normativo nel nostro paese è piuttosto frammentato e per arrivare allo smart working occorre passare per concetti giuridicamente definiti come “lavoro a distanza “ e “telelavoro”, partiamo dal 2015 con la la legge delega n. 124/2015 “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” cui è seguita la legge n. 81/2017 “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, legge che ha permesso l’estensione di tutele e sicurezze sui luoghi di lavoro per la prima volta sia nel settore privato sia nel settore pubblico con esplicito riferimento a situazioni e lavori al di fuori dell’impresa. Questa legge, la più completa fino al momento sul tema, fornisce una definizione di lavoro agile improntata su flessibilità organizzativa, volontarietà delle parti e adozione di strumentazione tecnologica. Sono seguiti i periodi di emergenza con i tanti DPCM tesi a regolamentare in emergenza il del lavoro agile. Durante le fasi più acute della pandemia e dei relativi lockdown, lo smart working si è imposto come unica possibilità di lavoro anche se con modalità improvvisate ed orientate al lavoro da casa, dato che si è lavorato per tutto il tempo senza accordi sindacali, senza consenso dei lavoratori, senza formazione e senza regole sugli orari. Lo smart working non è spostare al domicilio del lavoratore, con sue attrezzature, le attività di ufficio, ma è una vera e propria organizzazione dell’azienda per il lavoro in tempi e modi che sono collaborativi ed orientati al risultato, con regole che definiscono il confine tra vita lavorativa e privata, che sanciscono una autonomia operativa, così come del diritto alla disconnessione. Il Protocollo dello scorso 7 dicembre, quindi, ha l’intento di disciplinare le zone d’ombra che, soprattutto in termini sociali, sono emerse durante il crash test pandemico. I punti chiave del protocollo sono riassumibili nell’adesione volontaria perché lo smart working è subordinato alla sottoscrizione di un accordo individuale, e l’eventuale rifiuto del lavoratore non integra gli estremi di licenziamento. Segue un accordo individuale da redigersi in forma scritta dello smart working, che deve essere coerente con le linee d’indirizzo esplicitate nel Protocollo riguardanti la durata dell’accordo, l’alternanza tra periodi all’interno e all’esterno dei locali aziendali, esplicitazione dei luoghi esclusi per lo svolgimento della prestazione lavorativa e delle condotte lato datore di lavoro e lavoratore stesso da tenere, gli strumenti di lavoro, i tempi di riposo e la disconnessione, forme e modalità di controllo della prestazione lavorativa, attività formativa e diritti sindacali. Il diritto alla disconnessione viene sancito come fondamentale dato che lo smart working si caratterizza per l’assenza di un preciso orario di lavoro e per autonomia nello svolgimento della prestazione. Il luogo e strumenti di lavoro che può essere libero salvo specifiche che non consentano la regolare esecuzione della prestazione in condizioni di sicurezza e riservatezza come anche la strumentazione tecnologica che deve essere fornita dal datore di lavoro, anche se è consentito il ricorso a quella di proprietà del lavoratore a discrezione delle parti e nel rispetto degli standard di sicurezza. Definiti anche gli aspetti di salute, sicurezza, quelli sugli infortuni e malattie professionali perché il Protocollo fissa il principio che il lavoratore agile ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e, a tal fine, il datore di lavoro deve garantire la copertura assicurativa INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, anche legate all’uso dei videoterminali e contro l’infortunio in itinere. Altra parte del Protocollo definisce la parità di trattamento, pari opportunità, lavoratori fragili e disabili, qualsiasi sia la loro condizione e il loro sesso, i lavoratori hanno diritto a stesso trattamento stesso trattamento economico e normativo, stesse opportunità rispetto ai percorsi di carriera e stesse forme di welfare aziendale e di benefit. Infine la formazione per garantire a tutti i lavoratori agili pari opportunità nell’utilizzo degli strumenti di lavoro devono essere previsti percorsi formativi finalizzati a incrementare specifiche competenze tecniche, organizzative, digitali, anche per un efficace e sicuro utilizzo degli strumenti di lavoro forniti in dotazione. Sul tema ospitiamo a questo link anche una opinione autorevole del sociologo Domenico de Masi.
Per approfondimenti:
Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile
Nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali sul lavoro agile