Novembre 24

Pensioni: cosa emerge dai tavoli di confronto

Il governo e le parti sociali sono impegnati in tavoli di confronto per trovare una soluzione al problema della flessibilità in uscita in ambito riforma delle pensioni. Il tema della pensione e la possibile fuoriuscita dal mondo del lavoro senza eccessive penalizzazioni interessa particolarmente la platea dei Quadri direttivi e dei livelli apicali non dirigenziali del pubblico impiego, lavoratori che per età sono più prossimi alla quiescenza, crea preoccupazione perché potrebbe essere modificato il periodo di fine rapporto dall’effettiva entrata in vigore di una riforma che, dalle informazioni raccolte in ambito ministeriale da Infoquadri, potrebbe essere identica alla riforma Fornero. Pensare a cosa potrebbe accadere se non si interverrà in ambito previdenziale entro la fine del 2022 è utile per orientare una informazione completa e vera su tema. Facciamo il punto con questo articolo su quali potrebbero essere gli scenari del prossimo anno senza una riforma delle pensioni.
Partiamo da dal fatto che, in ogni caso, tre misure che permettono il pensionamento anticipato decadono a fine anno:
La quota 102, inserita per il solo 2022;
L’Ape sociale, prorogata solo per quest’anno;
L’opzione donna
che è in proroga permette e consente l’accesso ancora quest’anno a chi ha raggiunto i requisiti di pensionamento entro il 31 dicembre 2021.
Scadute queste misure come si potrà andare in pensione?
La legge Fornero resta in vigore e consente, lo ricordiamo, di andare in pensione di vecchiaia con 20 anni di contributi e 67 anni di età ed in pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e un anno in meno per le donne indipendentemente dall’età. Evidenziamo il fatto che l’Inps ha bloccato l’aumento dell’età pensionabile prevista per adeguamento alla speranza di vita Istat che era previsto per il 2021/2022 con la circolare numero 19 del 2020. Questo perché i rilevamenti Istat pubblicati nel mese di ottobre 2019 hanno registrato un incremento della speranza di vita della popolazione minimo, pari a zero, ai fini dell’adeguamento dei requisiti pensionistici.
Fino alla fine del 2022, quindi, non ci saranno variazioni sostanziali ai requisiti di accesso previsti per ogni forma di pensione. Dal 1 gennaio 2023 l’età pensionabile sarà adeguata alle stime di vita dell’Istat e la regola di una valutazione periodica (triennale fino al 2019 e poi biennale) della legge Fornero, legata all’incremento della speranza di vita a cui ricollegare l’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia, prevede che l’età delle pensioni oggi subisca un’incremento di 3 mesi ogni 2 anni.
L’innalzamento dell’ età pensionabile a 67 anni è scattato il 1 gennaio 2019 e sarebbe stato in vigore fino alla fine del 2020, ora con il nuovo decreto sarà valido anche nel biennio 2021-2022.
Una nuova valutazione sarà effettuata per il biennio 2023-2024 e il requisito, secondo la legge potrà aumentare al massimo di 3 mesi, arrivando quindi a 67 anni e 3 mesi tre mesi.
Quale è lo stato delle relazioni tra le parti sociali e il governo? Dai segnali ricevuti da entrambe le parti (sindacali e ministeriali) possiamo affermare che lo stato delle relazione è freddo ma buono, l’idea del governo (sicuramente di Draghi ma alcuni ministri non sembrano allineati) è quella di lasciare la possibilità di anticipare la pensione 64 anni con almeno 20 di contributi e una penalizzazione del 3% al massimo per ogni anno di anticipo, abbandonando così il sistema misto e la definizione di “quote”, evitando un ritorno rigido alla Fornero. La proposta del governo non piace a Cgil, Cisl e Uil, anche se i sindacati non sembrano aver sottovalutato lo sforzo del governo che ha fornito una disponibilità, seppure generica, anche sulla revisione dei coefficienti di trasformazione e sulla possibilità di eliminare la soglia del 2,8 e 1,5 volte dell’assegno sociale per coloro che raggiungono rispettivamente 64 e 67 anni e la possibilità di tutele ulteriori per i lavoratori disoccupati, gravosi e invalidi.
Se il gioco rimarrà con le carte che il governo ha calato dunque le uscite possibili a partire dai 64 anni d’età, e con almeno 20 anni di contributi saranno legate ad una pensione calcolata col contributivo totale, lasciando di fatto i lavoratori divisi in due categorie: lavoratori totalmente con calcolo contributivo e quelli con sistema “misto”, la soglia minima dell’ammontare mensile del trattamento scenderebbe a 2,5 volte il “minimo” (assegno sociale) rispetto alle 2,8 volte previste attualmente per chi è entrato nel mondo del lavoro dal 1996.