Commercio all’estero: il post-pandemia influenza le scelte delle imprese
Gli sconvolgimenti degli ultimi anni, dalla pandemia di Covid-19 all’invasione dell’Ucraina, sembrano condurre verso un ripensamento delle catene di approvvigionamento globali. In che modo questi eventi stanno influenzando le imprese, la loro volontà di commerciare e le modalità con cui operano all’estero? Allianz Trade pubblica oggi la seconda edizione del suo Global Survey.
Il leader mondiale dell’assicurazione credito ha intervistato quasi 3.000 esportatori di Francia, Germania, Italia, Spagna, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti, chiedendo alle aziende quali sono le loro aspettative per quanto riguarda le esportazioni nel 2023, le loro esperienze in merito alle interruzioni delle catene di approvvigionamento, i piani per rendere le catene di approvvigionamento più resilienti e le loro strategie ESG.
Sebbene le aziende siano relativamente ottimiste rispetto alle prospettive per le esportazioni nel 2023, l’incertezza economica resta forte. Per il 2023, circa il 70% delle aziende prevede un aumento del fatturato generato dalle esportazioni rispetto all’anno precedente, in calo se confrontato all’80% dell’edizione 2022. Ciò riflette il panorama meno favorevole per il commercio globale nel 2023: Allianz Trade prevede che il commercio globale crescerà lentamente in termini di volumi (+0,7% contro il +3,8% del 2022) e avrà una contrazione in termini di valore (-0,1% contro il +9,7% del 2022).
Le aziende sembrano inoltre avere un minore interesse per i nuovi mercati, propendendo per il consolidamento di quelli esistenti. Il 63% degli intervistati preferisce incrementare gli investimenti nei Paesi in cui è già presente, mentre il 47% prevede di investire in nuovi mercati. Per quanto riguarda le esportazioni, oltre il 55% delle aziende prevede di acquisire ulteriori quote di mercato nei paesi in cui è attualmente presente, mentre il 52% vuole diversificare e puntare su nuovi paesi.
Rispetto allo scorso anno, un numero maggiore di intervistati prevede un aumento della durata dei termini di pagamento delle esportazioni (42% contro 31%), con una quota che quest’anno ha raggiunto livelli vicini al 50% sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito. La percentuale di intervistati che si aspetta un aumento del rischio di mancato pagamento delle esportazioni è aumentata rispetto al nostro sondaggio di inizio 2022, con un incremento di 11 punti percentuali per un complessivo 40%. L’aumento è diffuso in tutti i paesi, ma risulta particolarmente evidente nel Regno Unito e in Germania (entrambi +16 punti percentuali), mentre è di solo +6 punti percentuali in Italia.
“Poiché le banche centrali continuano ad aumentare i tassi di interesse per ridurre l’inflazione, le aziende si trovano ad affrontare un mix di calo della domanda, ulteriori pressioni sulla redditività e condizioni di credito restrittive. In questo contesto, si stanno chiaramente preparando ad un allungamento dei termini di pagamento delle esportazioni e ad un aumento del rischio di mancato pagamento nel 2023. Ciò è in linea con le nostre previsioni rispetto alle insolvenze globali, che dovrebbero crescere del +21% nel 2023 (dopo il +2% del 2022)”, afferma Aylin Somersan Coqui, CEO di Allianz Trade.
Nonostante i miglioramenti, le aziende sono ancora preoccupate per le interruzioni delle catene di approvvigionamento
Quasi il 75% degli intervistati ritiene che gli ostacoli logistici e gli elevati costi di trasporto abbiano un impatto da moderato a significativo sull’attività di esportazione nel 2023, costituendo la sfida principale in Germania, Italia e Polonia. Per le aziende statunitensi e spagnole, la difficoltà maggiore è rappresentata dal costo e dalla disponibilità di finanziamenti. Per le aziende del Regno Unito, invece, i prezzi elevati dell’energia restano l’ostacolo più grande da superare quest’anno. Mentre, in Francia, le aziende sono preoccupate soprattutto per il rischio di mancato pagamento.
“Per mitigare le interruzioni delle catene di approvvigionamento, le tre strategie principali sono il monitoraggio, la gestione del rischio e la due diligence ESG sui fornitori. Tuttavia, nonostante i timori che si verifichino crisi coincidenti tali da innescare la deglobalizzazione, la ricostruzione ex novo delle catene di approvvigionamento o la delocalizzazione dei siti produttivi sono le opzioni meno favorite. Le aziende più colpite dalla crisi energetica si stanno orientando comunque verso una maggiore diversificazione delle catene di approvvigionamento. Quelle che segnalano un’interruzione da discreta a grave delle loro catene di approvvigionamento a causa della crisi energetica sembrano essere più interessate ad apportare cambiamenti, con il 35% che prevede di delocalizzare fornitori e siti produttivi nel medio-lungo termine (contro l’11% delle aziende meno colpite)”, spiega Ana Boata, Global Head of Economic Research di Allianz Trade.
La liquidità domina ancora nel settore del finanziamento delle esportazioni.
Per finanziare i piani di sviluppo delle esportazioni, le imprese prevedono di continuare a fare affidamento su liquidità, prestiti bancari e condizioni di pagamento. Le prime due opzioni sono risultate quelle con il maggior numero di preferenze anche nel sondaggio della scorsa edizione, anche se quest’anno, in un contesto di riduzione delle riserve di liquidità a disposizione delle imprese e di inasprimento delle condizioni dei prestiti bancari, il margine rispetto agli altri mezzi è chiaramente diminuito.
“È interessante notare che, oltre alle fonti di finanziamento tradizionali, le aziende optano sempre più spesso per sistemi Buy Now Pay Later per finanziare le loro esportazioni. Per le imprese del Regno Unito e della Francia, questi costituiscono la terza fonte di finanziamento dopo la liquidità e i prestiti bancari. Tale crescente interesse potrebbe sbloccare i finanziamenti per il commercio anche per le piccole e medie imprese che in passato si sono allontanate dal commercio globale”, afferma Ano Kuhanathan, Head of Corporate Research di Allianz Trade.
Anche sul fronte delle politiche pubbliche, le imprese chiedono soprattutto un sostegno finanziario. Le politiche attive del lavoro per la riqualificazione della manodopera si classificano al secondo posto dopo i prestiti e le sovvenzioni garantiti dallo Stato, a riprova dell’importanza di una garanzia dei finanziamenti nel contesto attuale. Considerando che la terza misura di politica pubblica preferita è la riduzione delle barriere al commercio, compresa l’eliminazione del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, il controllo dei costi sembra essere la priorità numero uno.
Per quanto riguarda i criteri ESG, le imprese privilegiano per ora i piccoli passi e la continuità aziendale.
La crisi energetica sta accelerando la transizione verde. In un contesto di rallentamento economico e di vincoli finanziari, oltre l’80% degli intervistati dichiara che nel 2023 darà priorità alla continuità aziendale rispetto agli impegni ESG. Tuttavia, le aziende non hanno rinunciato del tutto agli obiettivi ESG: la maggior parte degli intervistati (85%) sta intensificando gli sforzi per passare a fonti energetiche verdi nel lungo periodo, soprattutto in Spagna, Stati Uniti e Francia.
“Le principali priorità in termini di misure ESG ruotano ancora intorno ad azioni a breve termine, come la scelta di utilizzare mezzi di trasporto compatibili con l’ambiente, l’aumento degli standard ESG che i fornitori sono chiamati a rispettare o il miglioramento degli standard di salute e sicurezza all’interno della catena di approvvigionamento. Ma si sta dando priorità anche a misure più strutturali, come lo sviluppo di prodotti e servizi sostenibili e innovativi e la riduzione dell’esposizione alle attività non eco-compatibili (brown activities)”, conclude Aylin Somersan Coqui.