Libro del mese: Community, la struttura dell’appartenenza
COMMUNITY: LA STRUTTURA DELL’APPARTENENZA
Peter Block
Edizioni Ayros, pp.204, € 26,00
Perché leggerlo: per scoprire l’importanza di ripensare l’azienda come comunità e recuperare quel senso d’appartenenza che fa sentire le persone “proprietarie” delle proprie scelte, capaci di liberare le energie migliori che vengono dal riconoscersi membri di una comunità che si prende cura del bene comune.
Dopo il crollo di Lehman Brothers, Henry Mintzberg, una delle voci più autorevoli della consulenza organizzativa, scrisse: “All’ombra dell’attuale crisi economica, se ne cela un’altra di proporzioni più ampie: la scomparsa del senso di comunità nelle aziende, ovvero quel sentimento d’appartenenza e d’attenzione verso qualcosa che va al di là del singolo individuo. Decenni di management orientato al breve termine, specie negli Stati Uniti, hanno dato troppa enfasi alla figura del CEO e ridotto gli altri membri dell’azienda a pezzi sostituibili, da ridimensionare appena le quotazioni azionarie scendono. Un comportamento sconsiderato che ha messo in ginocchio l’economia globale”.
Gli effetti della perdita d’attaccamento all’azienda si fanno sentire ancora oggi che la pandemia ha spianato la strada allo smartworking diffuso; i contratti a tempo indeterminato diminuiscono, il sopravvento delle macchine intelligenti sta rivoluzionando il futuro del lavoro. Per arginare fenomeni come le “grandi dimissioni”, le aziende più sensibili aumentano gli interventi sul benessere. Ma ciò che sembrerebbe più importante è recuperare quel sentimento di comunità che un tempo cementava la vita sociale nelle aziende, trasformandole in una fonte d’identità in cui riconoscersi e su cui costruire il proprio futuro.
Ma cosa occorre oggi per ripensare l’azienda come comunità e rivitalizzare il senso d’appartenenza? La risposta la troverete in questo stimolante libro di Peter Block (prima edizione 2006, aggiornata nel 2016), uno dei massimi esperti di sviluppo organizzativo e di costruzione di comunità. Lo ha pubblicato tempestivamente l’editore Ayors avendone colto l’attualità. Un testo rigoroso e pragmatico, originale e sistematico, apparentemente semplice (grazie anche alla cura della traduzione), ma non semplice da mettere in pratica, tuttavia non impossibile stando ai diversi casi di successo esposti nel libro. La politica potrebbe trarne ispirazione, così anche i cittadini impegnati in progetti per il bene comune e le aziende, sempre in cerca di nuovi stimoli per accrescere l’engagement dei dipendenti.
Il librosuggerisce diversi modi per ritrovare l’appartenenza di cui la cultura attuale affamata di novità è carente. Per ricostruire una connessione autentica fra le persone occorre cominciare dallo sfatare il mito del progresso tecnologico, riconoscendone anche gli inganni, prima fra tutti l’illusione che essere sempre attivi on line ci renda parte di una grande comunità. Più i sistemi digitali diventano sofisticati e pervasivi, più ci isolano, ingabbiandoci nella rete, generando comunità fittizie che non lavorano per il bene comune, ma solo per celebrazione del proprio ego. Una voce fuori dal coro quella di Block, preziosa in tempi come questi dove prevale la ricerca di consenso e la polarizzazione ideologica. Il suo è un invito a non aspettare che le soluzioni vengano dall’alto, a diventare protagonisti di una politica attiva, dentro e fuori dall’azienda. Per questo occorre muovere la trasformazione dal basso, dando voce ad un dissenso costruttivo, tanto più utile oggi che l’assottigliarsi delle gerarchie richiede capacità di auto-organizzazione e self-leadership.
L’azienda come comunità aveva dato i suoi frutti nell’esperienza di Adriano Olivetti, ma non ha avuto seguito, forse perché troppo avanti sui tempi. Ora potrebbe essere il momento di recuperarla. Per dar vita alle comunità auspicate da Block occorre però ripensare l’organizzazione alle fondamenta. Una delle leve da cui partire consiste nel lasciarsi alle spalle le vecchie riunioni centrate sui problemi, colpevolizzazione e l’aumento di leggi e sorveglianza. Focalizzarsi invece su possibilità, generosità e ricostruzione, qualità di quelle che Block chiama “comunità riparative”, ovvero orientate alla riconciliazione, alla solidarietà, alla cooperazione per il bene comune. Un cambio di paradigma, ispirato alla psicologia positiva e all’empowerment, che può mettere in luce competenze e potenzialità nei membri del gruppo rimaste in ombra e far emergere un capitale sociale inaspettato.
Una delle chiavi suggerite da Block per dar vita a questo tipo di comunità comincia dal cambiare approccio alle riunioni. È qui che l’autore introduce il suo modello delle sei conversazioni, seimodi di relazionarsi e dialogare negli incontri che consolidano l’appartenenza e l’impegno su progetti mirati al bene comune. In queste riunioni si parte da: 1) La conversazione sull’invito (una convocazione che fa sentire le persone libere di esserci, anziché obbligate a partecipare); 2)laconversazione sulla possibilità(dove ognuno afferma pubblicamente ciò che pensa di poter creare insieme al gruppo), 3) la conversazione sulla proprietà(il riconoscimento della responsabilità su come si è contribuito, volontariamente o meno, a generare ciò di cui ci si lamenta o che si vorrebbe cambiare); 4) la conversazione sul dissenso (dare spazio alla diversità di pensiero, ascoltare senza controbattere o consigliare, raccogliere rispettosamente tutti i punti di vista; 5) la conversazione sull’impegno(che non è “un baratto”, ma un proposito privo di tornaconto personale); 6)laconversazione sui talenti (il riconoscimento del valore di ciascuno e del contributo che può apportare alla comunità). Sono questi i sei temi principali di conversazione che danno vita alla comunità. Poiché ogni conversazione inizia sempre da una domanda che avvia il dialogo, Block fornisce anche un ricco repertorio di domande-tipo per guidare ciascuna di queste conversazioni.
Un libro importante, ricco di idee e di metodo per far sì chele persone, in azienda, possano sentirsi a casa propria e avvertire quel senso di “comproprietà” e responsabilità sul futuro che insieme intendono creare. Il metodo di Block può rivelarsi una preziosa chiave di volta per il lavoro del futuro e per recuperare quel valore inestimabile, oggi a rischio, che è l’appartenenza senza il quale le aziende continueranno a trattare le persone come “pezzi intercambiabili”, anziché come “cervelli unici” generatori di idee, di creatività e relazionalità.
Raul Alvarez – partner INALTO