Novembre 24

Libro del mese: Smetto quando voglio

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SMETTO QUANDO VOGLIO

Paolo Iacci

Egea

Pag.146, € 18.00

Perché leggerlo: è un libro ricco di riflessioni sul futuro del lavoro e sulle speranze disattese dei giovani nell’era post-Covid. Un invito a ripensare l’organizzazione del lavoro e la leadership, non limitandosi ai proclami (“le persone al centro”), ma considerando le persone il vero centro vitale  dell’impresa: ascoltandole, riconoscendole, rendendole partecipi del futuro e aiutandole a fronteggiarlo. Infine perché veicola un messaggio forte: rompere il silenzio della rassegnazione oggi diffuso, specie fra i più giovani per tornare a farli sentire partecipi, proattivi, responsabili del proprio destino in un Paese che ha bisogno di speranza. E perché no, di rinascita.

Se la storia dell’umanità si divide in prima e dopo Cristo, le dinamiche del mercato del lavoro si dividono in prima e dopo il Covid. È questo il punto di partenza di un libro che racconta una trasformazione del lavoro, il diverso ruolo che ha assunto nella vita delle persone e i cambiamenti necessari nella leadership per continuare essere una guida dall’altezza dei tempi. L’autore è docente di Gestione Risorse Umane all’Università Statale di Milano, saggista prolifico, attento osservatore delle trasformazioni sociali e del lavoro.

Oggi siamo di fronte ad un salto di paradigma, osserva Iacci, che ci proietta in una nuova era caratterizzata da fratture inconciliabili tra il mondo di ieri e quello di oggi. Fra i diversi cambiamenti radicali: il passaggio dalla parziale deglobalizzazione delle filiere alla globalizzazione dei talenti. “Dopo  la globalizzazione del mercato, delle merci e del capitale arriveremo anche al mercato dei talenti. Il remote working è così sviluppato che sempre più le imprese dovranno cercare i migliori là dove si trovano”. Anche perché da noi non è facile reperibili o, se c’erano, se ne sono andati. Dal capitalismo degli shareholder al capitalismo degli stakeholder che apre la strada  ad un “capitalismo inclusivo” attento agli interessi di tutti (dipendenti, fornitori, clienti, comunità locale). “Il profitto rimane indispensabile, ma non è più fine a sé stesso: deve essere volto al bene comune”. Dalla centralità della persona al binomio vita-lavoro: il lavoro non rappresenta più l’elemento centrale nella vita delle persone. Il  focus oggi è sul binomio vita-lavoro. Occupazione, stabilità e giusta remunerazione non bastano a motivare. “Nel lavoro le persone cercano anche un significato intrinseco. Assistiamo ad un’urgenza di senso”, la ricerca di un valore in ciò che si fa, sapendo per chi, per cosa, per quale fine più alto. E ancora Dal lavoratore alla persona.  “I lavoratori non sono più disponibili a ridurre la propria identità ad un ruolo, vogliono essere considerate nella loro totalità. È un salto culturale di portata storica che richiede ai manager di considerare la persona a tutto tondo nei suoi bisogni e aspirazioni. Cambia anche il contratto psicologico fra individuo e organizzazione, la garanzia di stabilità occupazionale è sostituita da “Un nuovo contratto basato sull’apprendimento permanente perché è ciò che serve per garantirsi un’employability”.

L’angolo visuale si sposta poi su come le persone stanno vivendo questa fase storica. Prendendo a prestito il titolo di un famoso libro di Miguel Benasayag e Gérard Schmit,  Iacci battezza questa era l’epoca delle passioni tristi, intrise cioè di disillusione, impotenza ed estraniamento. “Oggi ciò che più colpisce è la desertificazione dei valori fondanti di riferimento”, nota Iacci. “Per i ragazzi il futuro non è più una promessa. Conseguenza, vengono meno le ragioni per cui battersi per un domani migliore” Come uscirne? “Conciliando il pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà”. L’unica possibilità per una vita degna di essere vissuta resta dunque “Il perfezionamento morale e  l’appagamento della sete di sapere”.

Ma questi sconvolgimenti epocali cosa nascondono dietro l’angolo? 5 Q che gravitano come una minaccia. Quite quitting (abbandono silenzioso). I dipendenti s’impegnano il minimo indispensabile. Quite firing (licenziamento silenzioso), “I lavoratori sono spinti a lasciare l’azienda per gli atteggiamenti ostili dei loro responsabili”. Quite hiring (assunzioni silenziose) “A fronte delle difficoltà di reperire nuovo personale con le necessarie competenze, le imprese acquisiscono nuovo know how senza assumere nuovi dipendenti, reclutando professionisti esterni o attribuendo temporaneamente ai dipendenti nuovi incarichi”. Quite promoting (promozioni silenziose) “Si carica un collaboratore di una maggiore mole di lavoro senza riconoscergli un nuovo ruolo, né un incremento retributivo”. Quite promoting (quieto sviluppo) “Ci s’impegna ma senza più strafare e coltivando minori aspettative”.

C’è un aspetto che accomuna queste 5 Q: un dilagante silenzio organizzativo fatto di passività ed estraniamento. “I dipendenti finiscono per tacere anche se hanno suggerimenti, preoccupazioni, idee in grado di dare valore aggiunto alle soluzioni”. È un sintomo di disengagement e di sfiducia nel vertice, un pericolo da non sottovalutare”. Citando Papa Francesco all’evento Economy of  Francesco (Assisi, 24  settembre 2022) Iacci ricorda quando, parlando ai giovani, il Pontefice lanciò una provocazione illuminante: “Se non avete niente da dire, almeno fate chiasso” accompagnando quella frase con un pacifico sorriso. Un invito a non arrendersi, perché chi resta in silenzio, attonito, passivo, diventa complice del proprio destino. Il libro è un continuo invito ad approccio al lavoro attivo e intraprendente, perché “Il lavoro non è una concessione, ma un’opportunità di cui ognuno deve essere garante per sé stesso” E conclude: “Un lavoro ben fatto vale in quanto tale, perché afferma la nostra identità –  e la nostra dignità, aggiungerei – e la nostra capacità di dare senso alle cose”.

Ho preso in mano questo libro temendo di trovare cose risapute su un tema di cui si è scritto molto. Mi sono detto: provo a leggerlo, al limite smetto quando voglio. Invece l’ho letto tutto d’un fiato trovandolo  profondo e leggero. Ricco di spunti  e analisi che in sole 136 pagine lascia molto su cui riflettere. Supportato da dati che offrono un quadro implacabile sul mondo del lavoro e sulle attese dei giovani che ne pagano lo scotto. Permeato da una passione positiva, in contrapposizione a quelle tristi oggi dilaganti. Generoso di consigli (utili e non scontati) per fronteggiare i nuovi fenomeni del lavoro. Propositivo per i continui inviti a fare, anziché a lasciarsi sopraffare dagli eventi, a far sentire la propria voce. E infine una proposta lungimirante “Revisionare l’articolo 18 che oggi si chiama formazione”.

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