Novembre 24

Share economy: è sviluppo o ci rende più poveri?

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Il sociologo Zygmunt Bauman non poteva avere intuizioni più chiara per definire il cambiamento sociale della nostro secolo: quella di «modernità liquida». Il concetto di liquidità rappresenta efficacemente quel processo di disgregazione progressiva che è in corso da tempo nelle società occidentali avanzate, le quali vedono indebolirsi e sciogliersi le strutture e le norme di funzionamento su cui avevano costruito la loro lunga storia.

Il mercato del lavoro italiano ha fatto registrare una battuta d’arresto a settembre ma è vera crescita o si tratta di lavoretti legati alla share economy? Per dirimere il dubbio abbiamo messo insieme più fonti, le stime passate rappresentano la fine di un ciclo di crescita , i record recenti sono spesso stati accolti con perplessità. Abbiamo più occupati, ma l’Istat considera anche chi lavora una sola ora nella settimana, aumentano gli occupati, ma sono lavoratori poveri.
Parlare però di “modernità liquida” comporta di limitarsi semplicemente a descrivere un fenomeno. cerchiamo di entrare nei numeri che dominano il fenomeno. All’aumento degli occupati corrisponda un peggioramento delle condizioni di lavoro. La percentuale di lavoratori poveri come misurata è scesa lo scorso anno sotto il 10% per la prima volta dopo 13 anni. Anche guardando agli andamenti settoriali il quadro è più positivo di quanto non appaia. È vero che, rispetto a fine 2019, prima della pandemia, la crescita occupazionale è stata trainata più dai servizi e dalle costruzioni che dalla manifattura.
Quanto sta accadendo è il risultato di società occidentali che hanno cominciato a frammentarsi sulla scia dello sviluppo della potente tendenza verso la personalizzazione. Tutto diventa sempre più personale, individuale e “precario”. Con il risultato finale di dare vita a una società sempre più instabile e dunque anche sempre più fragile.
Secondo i macroeconomisti ll disallineamento tra Pil e occupati che osserviamo in questi mesi, e che è diventata tendenza nell’ultimo anno, si spiega come una coda lunga della forte crescita del Pil nel 2021 e 2022 con il recupero ritardato dell’occupazione dopo il forte balzo del Pil post pandemia.

Di questo c’è traccia nei nuovi contratti collettivi? La contrattazione continua a non raggiungere la maggioranza dei lavoratori. La quota di dipendenti con un CCNL in attesa di rinnovo è tornata a superare il 50% nel terzo trimestre 2024. Inoltre, come ha mostrato la Banca d’Italia nel suo ultimo bollettino economico, non c’è un singolo contratto collettivo che abbia recuperato le perdite in termini reali dal picco dell’inflazione.

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